Consorzi di miglioramento fondiario: appunto relativo alla Sentenza della Corte costituzionale n. 187 del 31 luglio 2020
Con Sentenza n. 187 del 31 luglio 2020 la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità dell’art. 12 della legge regionale n. 5 del 2019 che modifica l’art. 9 della legge regionale 18 luglio 2012, n. 20 (Disposizioni in materia di riordino fondiario), aggiungendovi il comma 2-bis. Tale nuovo comma dispone che, in relazione a beni che risultino «intestati a soggetti irreperibili, sconosciuti o deceduti senza eredi», l’assemblea dei consorziati accerti, alla presenza di un notaio, l’esistenza di eventuali diritti vantati da terzi sugli stessi e ove non risultino soggetti che possano vantare diritti di proprietà sui beni suddetti, questi siano «ricompresi nel piano di riordino».
Nella sua pronuncia la Corte ha accertato «un’interferenza della introdotta procedura regionale per la redazione del piano di riordino fondiario con la disciplina civilistica in materia di successione» e, dunque, una violazione della competenza statale in materia di «ordinamento civile» da parte della suddetta disposizione regionale.
Link alla sentenza: https://www.eius.it/giurisprudenza/2020/443
Ad una prima – e ancora molto superficiale – lettura della sentenza, si osserva come essa riguardi disposizioni inerenti il riordino fondiario e non interferisca con i principi regolatori del nostro sistema dei beni comuni.
Il punto centrale che ci riguarda è da esaminare in una duplice prospettiva: da un lato, l’estinzione e quindi la successione dell’intera consorteria. Dall’altro, la successione delle quote dei beni di consorteria intestati a soggetti irreperibili, sconosciuti o deceduti senza eredi.
Nel primo caso, la norma applicabile è precisa e non è mai stata impugnata dallo Stato: “… i beni immobili di uso collettivo per i quali non sia stato possibile stabilire l’appartenenza ad una Consorteria oppure per i quali non si sia ottemperato a quanto previsto dal primo comma dell’articolo 4 (riconoscimento legale), passano a far parte del demanio dei Comuni entro il cui territorio sono compresi”.
La devoluzione opera dunque a beneficio del Comune e non dello Stato.
Diverso è invece il caso in cui la questione si ponga per i diritti (parziali) di consorteria attribuiti a soggetti privati irreperibili, sconosciuti o deceduti senza eredi.
Le conseguenze richiamate dalla sentenza della Consulta («[i]n mancanza di altri successibili l’eredità è devoluta allo Stato» (art. 586 cod. civ.) e «[i] beni immobili che non sono di proprietà di alcuno spettano al patrimonio dello Stato» (art. 827 cod. civ.)) non mi sembrano applicabili in questo nostro caso.
Già legge regionale n. 14 del 1973 sembra implicitamente escludere questa possibilità, non avendo per sua natura lo Stato i requisiti necessari per essere parte di una consorteria (art. 2. “Fanno parte delle Consorterie, con i relativi obblighi e diritti, i proprietari di fondi rustici siti nelle frazioni e località delle Consorterie, che vi risiedono effettivamente per un periodo annuale minimo stabilito negli Statuti delle Consorterie”).
Inoltre, la quota di bene consortile non è res nullius, ma è e rimane parte di una proprietà collettiva, indivisibile e inalienabile, cedibile secondo la procedura stabilita solo a favore dei Comuni entro i cui confini sono compresi ed alla Regione Valle d’Aosta affinché confluiscano nel demanio del Comune o della Regione (art. 3).
L’esclusione della devoluzione allo Stato dei diritti di consorteria mi pare ulteriormente rafforzata dai principi stabiliti dalla legge 168 del 2017 che non danno spazio ad un’applicazione prioritaria e prevalente delle norme del Codice civile, bensì piuttosto al potere di auto normazione delle consorterie stesse.
I principi stabiliti dalla legge 168 mi sembrano infatti portare alla soluzione che nella titolarità dei diritti in questione subentrerebbe (pro quota) l’intera collettività che ne è titolare considerata, in questo caso, “la prevalenza dell’oggettivo sul soggettivo, e quindi della natura economica delle cose, della loro destinazione, della loro funzionalità; la prevalenza per i membri del gruppo delle situazioni soggettive di dovere su quelle di potere e di diritto tipiche ai tradizionali iura in re.”. (G. Pagliari, “Prime note” sulla l. 20 novembre 2017, n. 168, “norme in materia di domini collettivi”, in Il diritto dell’economia» n. 98, 2019, p. 40).
Il punto potrebbe essere molto utilmente chiarito anche dalla nostra iniziativa legislativa che ci auguriamo sarà presto avviata, almeno operando in proposito un esplicito rinvio alla potestà di auto normazione da parte degli statuti delle consorterie.
È inoltre possibile sostenere l’inapplicabilità del (limitato) percorso argomentativo della Consulta qui analizzato in relazione alle disposizioni della proposta di legge sulle Consorterie anche sulla base dello specifico assetto di competenze in questo ambito.
In effetti, non va trascurato che la Regione è titolare di una competenza esclusiva in materia di Consorterie, la quale è stata espressamente riconosciuta dalla Corte costituzionale stessa quale legittima fonte di deroga alla disciplina statale. In effetti, così recita la sentenza n. 87 del 1963 (Considerato in diritto, punto n. 4) “la competenza riconosciuta non soltanto alle Province di Trento e Bolzano, ma anche alla Regione della Valle d’Aosta (art. 2, lett. o – usi civici, consorterie, promiscuità per condomini agrari e forestali, ordinamento delle minime proprietà culturali – dello Statuto speciale), alla Sicilia (art. 14, lett. c, dello Statuto speciale) e alla Sardegna (art. 3, lett. m, dello Statuto speciale), sta a provare il proposito del legislatore costituente di rimediare a codesta artificiosa uniformità [derivante dalla disciplina della l. n. 1766 de 1927], disponendo che la materia degli usi civici fosse regolata dal legislatore regionale e in difformità dalle leggi dello Stato in quelle regioni, segnatamente in quelle alpine, dove si sono conservate tenaci tradizioni e consuetudini che possono essere ricondotte ad usi antichissimi, romani e germanici, e dove le condizioni geografiche e la natura degli ordinamenti agrari impongono regole particolari nell’uso dei boschi e dei pascoli”.