La Costituzione italiana sancisce alcuni principi fondamentali in materia di autonomia e di beni comuni.
Si tratta in particolare del principio democratico (art. 1), del principio autonomistico e del decentramento (art. 5), della tutela delle minoranze linguistiche (art. 6) e del riconoscimento delle autonomie speciali (art. 116).
I beni comuni non sono espressamente menzionati in quanto tali, poiché si riconosce e garantisce formalmente solo la proprietà pubblica e privata (“La proprietà è pubblica o privata. I beni economici appartengono allo Stato, ad enti o a privati (…)”, art. 42, c. 1), demandando alla legge la determinazione dei modi di acquisto, di godimento e dei sui limiti “allo scopo di assicurarne la funzione sociale e di renderla accessibile a tutti (art. 42, c. 1).
Un importante elemento a favore della categoria dei beni comuni è però rappresentato dal fatto che “A fini di utilità generale la legge può riservare originariamente o trasferire, mediante espropriazione e salvo indennizzo, allo Stato, ad enti pubblici o a comunità di lavoratori o di utenti, determinate imprese o categorie di imprese, che si riferiscano a servizi pubblici essenziali o a fonti di energia o a situazioni di monopolio ed abbiano carattere di preminente interesse generale” (art. 43).
In attuazione di tali principi costituzionali, è solo recentemente che il legislatore italiano ha disciplinato la materia. La Legge 20 novembre 2017, n. 168, recante “Norme in materia di domini collettivi”, riconosce questi ultimi come ordinamento giuridico primario delle comunità originarie soggetto alle norme costituzionali.
Questa nuova normativa opera una vera e propria “rivoluzione” giuridica poiché con essa le forme della proprietà non sono più due (privata e pubblica), ma tre: privata, pubblica e collettiva (o comune).
I beni goduti collettivamente, in forma indivisa secondo consuetudine non sono più orientati verso forme di privatizzazione, liquidazione o pubblicizzazione (come prescritto per esempio in Valle d’Aosta dalla legge regionale Legge regionale 5 aprile 1973, n. 14, Norme riguardanti le consorterie della Valle di Aosta) ma viene indicato come obbiettivo fondamentale della Repubblica (e quindi di tutti gli enti che la compongono: Comuni, Province, Città metropolitane, Regioni e Stato) di tutelarli e valorizzarli “in quanto: a) elementi fondamentali per la vita e lo sviluppo delle collettività locali; b) strumenti primari per assicurare la conservazione e la valorizzazione del patrimonio naturale nazionale; c) componenti stabili del sistema ambientale; d) basi territoriali di istituzioni storiche di salvaguardia del patrimonio culturale e naturale; e) strutture eco-paesistiche del paesaggio agro-silvo-pastorale nazionale; f) fonte di risorse rinnovabili da valorizzare ed utilizzare a beneficio delle collettività locali degli aventi diritto” (art. 1).
I principi della legge si applicano anche alle regioni a statuto speciale e alle province autonome di Trento e di Bolzano, in conformità ai rispettivi statuti e alle relative norme di attuazione.
Entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore della legge, le regioni devono esercitare le competenze ad esse attribuite. Decorso tale termine, ai relativi adempimenti provvedono con atti propri gli enti esponenziali delle collettivita’ titolari, ciascuno per il proprio territorio di competenza. I provvedimenti degli enti esponenziali adottano in questo senso sono resi esecutivi con deliberazione delle Giunte regionali (art. 3, c. 7).