Gli atti di infeudazione dei rû

Reconnaissances

Il medioevo e le sue regole

Il nostro viaggio intorno ai ru ci impone anche di dedicare un po’ della nostra attenzione al sistema feudale per conoscere, seppure molto sommariamente, dal punto di vista sociale e civile, il modo di vivere degli abitanti del Duché d’Aoste e la sua organizzazione amministrativa sotto la giurisdizione dei Savoia.

I conti e i duchi di Savoia davano l’investitura dei feudi ai grandi feudatari che, a loro volta, infeudavano i loro sudditi, normalmente i capifamiglia. Le famiglie patriarcali erano composte da due o anche tre generazioni e qualora queste si fossero estinte, i terreni e più in generale tutti i beni oggetto di infeudazione ritornavano al signore concedente. Il sistema economico era quindi di tipo chiuso, potendo ogni territorio controllato dal feudatario essere autonomo ed autosufficiente.

Dagli atti di infeudazione, stipulati davanti un notaio o un commissaire nominato dal signore e ad almeno due testimoni, sono derivati tutta una serie di altri atti – come ad esempio le vendite, le permute, le successioni, i testamenti, le donazioni, ecc. – a testimonianza della grande importanza che rivestiva la proprietà, o, meglio, il possesso delle terre per l’attività agricola. Molta rilevanza, inoltre, hanno rivestito gli atti di reconnaissance, chiamati anche manifeste, poiché periodicamente (ogni 25 anni circa oppure alla morte del signore) il tenutario era solito manifestare i fondi da lui posseduti e coltivati. Questi atti erano stipulati essenzialmente per due motivi: per mantenere in perpetuità i diritti dei feudatari sugli infeudati e, soprattutto, per ribadire i doveri dei primi nei confronti dei secondi, con la conferma delle antiche infeudazioni date dai loro predecessori. Inoltre, in un’epoca in cui non si era ancora inventato il catasto, gli atti di reconnaissance avevano anche il compito di stabilire con sufficiente precisione i confini dei feudi e di individuare il capofamiglia che doveva poi pagare le relative imposte.

Numerose erano le tasse, i censi e le gabelle cui erano sottoposti i sudditi, tra le quali ricordiamo:

  • le redevances, chiamate anche servis, vale a dire dei censi annuali collegati all’infeudazione di terreni, campi, fabbricati ed altri beni materiali, che si potevano pagare in denaro oppure in natura (sovente si trattava di capponi e pernici) alla ricorrenza di san Martino (11 novembre), san Michele (29 settembre) oppure a Natale;
  • la rente annuelle, pagabile in natura (segale, castagne, frumento) oppure in denaro, per lo sfruttamento di feudi di una certa importanza ed estensione;
  • il plait o plaid, pagabile alla morte del signore o del tenutario, normalmente il doppio del valore del servis;
  • la royda o roides, che consistevano in prestazioni di manodopera a servizio del signore feudale;
  • l’alpier, vale a dire il pagamento del quantitativo di formaggio prodotto in alpeggio nel corso dei primi tre giorni di monticazione;
  • l’intrage o entrance, da versare nei casi d’acquisto del bene da altri tenutari, sudditi del signore feudale.

Non dobbiamo pensare, tuttavia, che i documenti a noi pervenuti abbiano avuto come oggetto solamente concessioni di terreni suscettibili di essere coltivati. Tra gli atti più importanti, che vedevano impegnati da una parte il signore feudale, dall’altra tutti gli abitanti del suo feudo, vi erano le cosiddette Charte des franchiges. Tali norme sancite da un giuramento davanti a Dio accordavano alcune libertà ai sudditi: ad esempio, l’esenzione in futuro di tasse non preventivamente pattuite, la limitazione nell’applicazione di pene pecuniarie per coloro che avevano commesso dei reati, la tutela del commercio e dello scambio di prodotti agricoli all’interno al feudo, l’autorizzazione a cacciare la selvaggina su alcuni territori di proprietà del signore, l’obbligo di partecipare alle battute di caccia per la mensa signorile, il permesso di tagliare alcune essenze arboree ed arbustive, di raccogliere il legno secco per il riscaldamento oppure di pascolare il bestiame su alcuni terreni del feudo. Naturalmente queste franchigie avevano un prezzo, solitamente molto elevato, che il signore feudale esigeva in denaro contante.

Assistiamo, quindi, ai primi timidi tentativi di organizzare la vita sociale e, di conseguenza, amministrativa di una comunità attraverso le concessioni contenute nelle varie carte delle franchigie che – citiamo dall’opera di Joseph-Gabriel Rivolin, Pollein. Materiali per una storia – «costituiscono le più antiche testimonianze, in Valle d’Aosta, dell’esistenza dei Comuni. È attraverso la contrattazione con i signori per ottenere le “libertà”, infatti, che le piccole comunità rurali acquisirono coscienza di sé stesse, dei propri diritti e del proprio peso contrattuale. Dietro questi documenti, bisogna immaginare un’organizzazione comunitaria già esistente, dotata di regole almeno embrionali, che fosse incaricata più o meno ufficialmente di gestire gli interessi collettivi e di rappresentare l’insieme degli abitanti nei confronti del mondo esterno».

È soprattutto nella costruzione e gestione di una rete irrigua che tale organizzazione rivelerà la sua natura innovatrice, destinata ben presto a perfezionarsi: infatti, l’origine conosciuta dei più antichi canali irrigui della Valle d’Aosta risale, come abbiamo già ricordato, alla metà del XIII secolo.

Il signore locale concedeva, in genere su iniziativa popolare o più raramente di qualche ricco possidente terriero, l’autorizzazione a prelevare l’acqua da un torrente o da una sorgente per irrigare i fondi in cambio di un’imposta iniziale (entrance o intrage), in apparenza non troppo elevata tenuto conto dei benefici, e di successive tasse annuali (redevances), pagabili dagli aventi diritto secondo precise modalità che venivano riportate sugli atti.

In effetti, la procedura doveva essere un po’ più complessa rispetto a quanto la storiografia tradizionale ci racconta, poiché una serie di iniziative doveva precedere la stesura definitiva del contratto. Con ogni probabilità dobbiamo immaginare innumerevoli riunioni preliminari tra i diretti interessati, i quali dovevano stabilire se richiedere o meno l’infeudazione e verificare se il numero di coloro che aderivano al progetto era sufficiente per intraprendere l’opera e se questa fosse tecnicamente eseguibile.

Erano, in seguito, tenuti a nominare i rappresentanti per ogni villaggio o futuro comprensorio irriguo, affinché costoro potessero già prendere i necessari accordi con il rappresentante del feudatario, farsi carico della raccolta dell’imposta iniziale da versare all’atto di infeudazione, recarsi personalmente davanti al notaio o al balivo e, infine, organizzare materialmente i lavori una volta ottenuta l’infeudazione. Tale organizzazione era solitamente demandata a pochi e importanti rappresentanti, eletti in seno alla comunità rurale.

Alla morte del signore concedente doveva poi essere versata una tassa (plaid o plait) a favore del suo successore affinché, con un nuovo atto, potesse riconoscere loro gli antichi diritti acquisiti (reconnaissances).

Il feudatario, di solito, si riservava il diritto di prelevare gratuitamente l’acqua dal canale per irrigare le proprie terre dietro la promessa, ad esempio, di fornire il legname o il pietrame necessario alla sua manutenzione, oppure di contribuire direttamente alla sua conservazione mediante un prestabilito numero di giornate lavorative.

 

L’organizzazione dei lavori

Ottenuta l’infeudazione, gli associati provvedevano a nominare un consiglio di direzione dei lavori, scelto tra tutti i promotori aventi diritto e composto da un numero variabile di rappresentanti di ogni villaggio o comprensorio irriguo, che si distinguessero per la loro capacità e onestà. Ad esempio, nel caso del Ru Courtaud queste nomine erano state addirittura oggetto di trascrizione in un atto notarile, proprio per sottolinearne l’ufficialità.

A questo consiglio era affidata la responsabilità di formare, dirigere ed organizzare le squadre di operai, nonché di contabilizzare le giornate lavorative.

Il consiglio di direzione dei lavori aveva inoltre il compito di redigere i regolamenti che disciplinassero sia l’andamento dei lavori, sia in un secondo tempo l’uso e la ripartizione delle acque d’irrigazione.

Quando il ru entrava in funzione venivano nominati a scadenze prefissate, generalmente ogni due anni, uno o più responsabili del canale (syndics o directeurs) a seconda della sua lunghezza ed importanza. I loro compiti principali consistevano nel fare da tramite tra il rappresentante del signore concedente e gli utenti infeudati, nel raccogliere periodicamente i censi dovuti per l’uso delle acque, nel vigilare sulla corretta gestione amministrativa dell’associazione (consortage) e nel garantire la funzionalità idraulica dell’opera organizzando periodicamente le cosiddette corvées, cioè giornate lavorative da offrire gratuitamente in cambio del diritto di irrigare. Allo stesso modo erano incaricati uno o più guardiani del canale (gardes-ruisseaux) che, oltre ad avere i compiti di sorveglianza, potevano sanzionare coloro i quali non rispettavano le regole impartite.

Evidenziare alcune interessanti notizie storiche che provengono sia dagli atti di infeudazione, sia dai regolamenti e statuti che venivano in seguito adottati, consente di meglio comprendere le tecniche utilizzate per la costruzione degli antichi ru e per la loro successiva manutenzione.

 

Il ruolo dei signori feudali

Dagli atti di infeudazione si evince che, nella maggioranza dei casi, non era il feudatario ad imporre ai suoi sudditi la costruzione di un canale d’irrigazione: egli si limitava piuttosto a rilasciare l’autorizzazione per realizzare le opere oppure a ratificare l’operato di un suo ufficiale di fiducia. Era comunque nel suo interesse concedere, ad rectum et perpetuum feudum, questo tipo di infeudazione a titolo oneroso che avrebbe determinato, per l’immediato e per il futuro, entrate più cospicue e sicure.

Mediante un considerevole aumento della produzione agricola dovuto alla possibilità di irrigare i fondi già coltivati e di rendere produttive le terre incolte, il feudatario, infatti, non solo vedeva allontanato da lui e dal suo parentado lo spettro delle carestie, ma addirittura poteva introitare maggiori censi in natura poiché questi erano solitamente calcolati in percentuale sui raccolti.

Allo stesso modo i vantaggi per i sudditi e le loro famiglie, che quotidianamente dovevano fare i conti con carenze di tipo nutrizionale, erano alquanto evidenti.

Il signore concedente non era solito imporre il controllo né diretto né indiretto sull’organizzazione dei lavori per la costruzione di un nuovo canale, tant’è che ogni associazione disponeva di una propria autonomia nell’approvare i regolamenti in merito, salvo il riservarsi i diritti sulle ore d’acqua per i propri terreni.

Era tuttavia prevista la nomina di probiviri (prud’hommes, dal latino probi homines) per concordare i danni arrecati dalla nuova servitù del canale e causati dal passaggio degli operai per la sua costruzione, nonché, come accennato, la nomina di uno o più guardiani per il successivo controllo sull’uso delle acque, per il sanzionamento di coloro che non rispettavano le regole e per il versamento dei proventi delle sanzioni al signore concedente.

Vi è infine da rilevare che le infeudazioni sono state, nella maggioranza dei casi, concesse dai vari signori locali i quali facevano valere il loro potere sull’intero territorio della Valle. Raramente il rilascio di autorizzazioni di questo tipo vedeva impegnati i duchi di Savoia.

 

caratteristiche generali degli atti di infeudazione

Benché le origini dei principali canali irrigui della Valle d’Aosta siano accomunate da vari elementi – tra i quali l’iniziativa popolare o, in alcuni casi, quella di un singolo ma influente personaggio, se non addirittura di un signore feudale, il rilascio delle successive concessioni da parte dei signori locali, il pagamento delle corrispettive redevances, l’approvazione dei regolamenti per la gestione e ripartizione delle acque – ogni ru racchiude in sé diversi aspetti storici, in quanto è il riflesso delle comunità di contadini che lo hanno voluto e concepito.

Molti atti di prima infeudazione di un ru o di reconnaissance da parte dei signori locali contengono degli elementi in comune che, seppur interessanti dal punto di vista storico, includono delle ridondanti formule di rito espresse in perfetto burocratese. Tuttavia alcuni documenti sono una vera e propria miniera di dati e informazioni; si spazia dai toponimi ai patronimi locali – da notare che l’uso delle maiuscole per i nomi propri non era ancora considerato una regola inderogabile, così come l’ortografia era alquanto personalizzata da coloro che scrivevano – dagli aspetti sociali e religiosi di una comunità rurale a quelli che disciplinavano la costruzione e manutenzione dei canali irrigui, dalle vere motivazioni che avevano indotto i signori a concedere le infeudazioni alle pressanti necessità da parte dei lavoratori della terra di vedere accrescere i raccolti per il sostentamento di sé stessi e delle proprie famiglie.

A fronte delle numerose clausole alle quali gli infeudati dovevano sottostare e degli aspetti più propriamente legali contenuti negli atti di infeudazione, nessun documento finora studiato ci ha mai consentito di risalire alle tecniche utilizzate per il tracciamento dei canali irrigui da costruire, né agli incaricati di tale compito.

Personaggi che ricoprivano la funzione di magister aqueductus – uno di questi, Jean de Châtillon, fu inviato nel 1318 al castello di Rivoli per condurvi dei lavori idraulici – potevano essere incaricati della costruzione di qualche importante ru. Tale ipotesi, anche se può risultare verosimile, non ha, per il momento, trovato riscontro nei documenti ufficiali.

L’analisi e lo studio degli atti di infeudazione sono alla base per apprezzare le tante sfaccettature del mondo agricolo medievale, in parte ancora da scoprire e rivalutare. A conferma di quanto sopra riportato vogliamo proporre la lettura del più lungo tra i maggiori canali irrigui della Valle d’Aosta, il Ru Courtaud.

 

L’atto di infeudazione del rû Courtaud

L’origine di uno dei più importanti canali irrigui della nostra regione è stata documentata da Hans von Fels studiando le tre più antiche carte che riguardano il ru. Si tratta di un atto di infeudazione datato 14 luglio 1393, di un atto d’associazione del 10 agosto dello stesso anno e dell’infeudazione definitiva datata 13 maggio 1433.

Il contenuto di questi atti è prezioso da un punto di vista amministrativo. Dal punto di vista tecnico, invece, registriamo alcune importanti lacune che non ci consentono di stabilire esattamente a che punto fossero arrivati i lavori nel 1433, a quarant’anni dalla prima infeudazione. Per contro, dal più recente documento siamo in grado di capire il tipo di organizzazione che fu data ai lavori e quali furono gli utensili adoperati nel corso della costruzione e manutenzione non solo del ru di cui ci stiamo occupando, ma verosimilmente anche di molti altri costruiti nello stesso periodo.

Il 14 luglio 1393 una delegazione composta da diciassette capifamiglia si riunì a Saint-Vincent nella casa del bourgeois Pierre Astesan, al cospetto del notaio François Franquini. Per loro stessi, per coloro che rappresentavano e per i propri eredi, ottennero da Ibleto, signore di Challand e Montjovet, il diritto perpetuo di irrigare le proprie terre con le acque provenienti dai torrenti di Venta, Ventina e Nanaz, siti nella parrocchia di Ayas.

Possiamo solo supporre che una decisione così importante per tutta la comunità di Saint-Vincent sia stata preceduta da altri pour parler e riunioni nelle quali coloro che coltivavano le terre e i rappresentanti delle autorità preposte concordarono ogni più piccolo dettaglio sui lavori da compiere, come ad esempio la valutazione della fattibilità dell’intervento da un punto di vista tecnico-idraulico.

Il servis annuale, da versare il 26 dicembre in occasione della ricorrenza di santo Stefano, ammontava a due fiorini, così pure l’immancabile plait.

Per il rilascio dell’infeudazione Ibleto di Challand dichiarò di ricevere 24 fiorini d’oro zecchino e naturalmente si riservò il diritto di irrigare i propri possedimenti, tutti i martedì, la notte compresa. A titolo di garanzia il signore si impegnava, qualora avesse voluto vendere alcune delle proprie quote dell’acqua, a dare la precedenza ai suoi sudditi associati, purché fossero in regola con il pagamento delle imposte.

Il successivo 10 agosto, un gruppo di proprietari delle zone di Erésaz, Sommarèse, Chassan e Arbaz, venuto a sapere dell’iniziativa dei Sabins, chiese ed ottenne un’ulteriore concessione d’acqua per irrigare i propri terreni, a fronte dell’impegno di contribuire alla costruzione del canale nella misura di un terzo della spesa e di fornire un terzo della manodopera occorrente. Naturalmente, i nuovi associati erano disposti ad accollarsi la terza parte della somma chiesta da Ibleto di Challand a titolo di intrage.

Passiamo ora ad esaminare il contenuto dell’ultimo dei tre fondamentali documenti per ricostruire la storia del Ru Courtaud. Il 13 maggio 1433 si presentarono davanti al conte François de Challand, successore di Ibleto, i capifamiglia provenienti dai villaggi di Grand e Petit Rhun, Salirod, Lenty, Perrière, Grun, Moron, Arbaz, Sommarèse, Érésaz e Chaissan, in tutto 88 persone, le quali si impegnarono formalmente ad osservare le regole impartite per la costruzione e per la futura manutenzione della rete di canali da costruire.

In quest’occasione vennero, inoltre, eletti 19 rappresentanti che maggiormente si distinguevano per la loro capacità e onestà. A questi sarebbe toccato il compito di coordinare i lavori di costruzione del canale, di redigere un rendiconto dei lavori effettuati, di amministrare l’opera finita, di occuparsi delle manutenzioni e, infine, di sanzionare coloro che non avessero rispettato le norme.

Nel regolamento venne poi stabilita la prescrizione generale secondo la quale il tracciato del ru avrebbe dovuto consentire il trasporto dell’acqua nella massima sicurezza fino alle terre da irrigare, il canale sarebbe stato mantenuto a spese di tutti gli aventi diritto e, infine, ogni associato avrebbe dovuto presentarsi in cantiere al sorgere del sole alla Croix de Joux, pena la non contabilizzazione della giornata lavorativa e il pagamento di un’ammenda di sei soldi.

Anche la dotazione degli attrezzi fu prevista dal regolamento: 2 magli di ferro, 3 palanchini, anch’essi di ferro, 4 martelli a punta, 3 pale, 4 picconi e 4 cunei di ferro de bonne et suffisante qualité, utensili che sarebbero stati restituiti ai rispettivi proprietari ad opera compiuta.

Dalla quantità e dal tipo di strumenti da lavoro possiamo risalire al numero di persone che lavorarono contemporaneamente fino al compimento dell’opera: solamente 16 unità, un numero che parrebbe molto esiguo, soprattutto se rapportato alla lunghezza del canale. Vi è il dubbio che più di una squadra abbia operato in simultanea nello stesso cantiere.

Qualora fosse stato necessario eseguire delle opere murarie di una certa importanza, il documento prevedeva la possibilità di incaricare dei valenti muratori, dietro pagamento del dovuto.

Di tutti i lavori effettuati poi, si sarebbe redatta una dettagliata contabilità, con l’indicazione degli operai che avevano partecipato alla costruzione del ru e delle relative assenze.

Si convenne, altresì, tra i partecipanti che, dopo la costruzione del ramo principale del Ru Courtaud, il canale si sarebbe diviso in tre parti: una per l’irrigazione della zona di Perrière e Moron, un’altra che doveva raggiungere Amay, Grand Rhun, Petit Rhun, Salirod e Lenty e, infine, la terza a servizio dei comprensori di Arbaz, Sommarèse, Érésaz, Chaissan e Émarèse. Quest’ultima derivazione, a sua volta, doveva frazionarsi di nuovo in tre parti.

La ripartizione dell’acqua – ed è questa l’unica limitazione di tipo tecnico imposta dal conte François de Challant – doveva compiersi con il suo personale consenso, oppure con quello di un suo incaricato, alla presenza anche del direttore del ru nominato dalla maggioranza degli aventi diritto.

Hans von Fels conclude la sua trattazione su Le Canal d’Ayas ponendo l’accento sul fatto che il conte di Challant insista pour que la construction des canaux en question fût entreprise sans tarder. Dobbiamo quindi desumere che dopo circa quarant’anni dalla prima infeudazione, poco o nulla di materiale era stato costruito. Forse si era stabilito solamente il tracciato di massima del ru.

D’altronde, dobbiamo pensare che solo con l’ultimo atto del 1433 furono nominati i responsabili del canale e fu stabilito come organizzare le squadre dei lavoratori. Per quale motivo le comunità interessate hanno atteso così tanto tempo prima dell’effettivo inizio dei lavori di un’opera, già di per sé molto complessa e impegnativa, e per la quale avevano già pagato a Ibleto di Challant i 24 fiorini d’oro richiesti? E soprattutto, riusciremo mai a scoprire quando il Ru Courtaud entrò in funzione per la prima volta?

 

« Les reconnaissances »

Alla morte di un signore feudale, il suo successore era solito riconoscere, mediante un atto ufficiale, le libertà rilasciate dal suo predecessore. Questo poteva accadere per due differenti ragioni: la prima perché il signore ereditario poteva essere spinto da necessità economiche, vale a dire l’introito di una tassa chiamata plait e di altre a cadenza annuale, servis, normalmente già previste in sede di rilascio delle precedenti infeudazioni, la seconda perché i sudditi interessati ne facevano espressa richiesta per non rischiare di perdere i diritti acquisiti e per evitare futuri litigi tra gli stessi utenti delle risorse idriche.

Gli atti di reconnaissances – detti anche manifeste – erano contenuti in voluminosi libri chiamati grosses oppure livres terriers, poiché sovente riguardavano i riconoscimenti di appezzamenti di terreno già oggetto di precendenti infeudazioni; in altre parole questi manoscritti possono essere considerati un vero e proprio catasto medievale, indice, tra le altre cose, di un sistema fiscale piuttosto avanzato. Scriveva a questo proposito l’abbé Henry: «Là vous avez le nom de tous les particuliers qui vivaient à cette époque, le nom de toutes les pièces de terrain avec leur ubication, leurs limites et leur étendue ; le nom de tous les villages et toutes les montagnes, tous le rus d’arrosages […] ».

Qualsiasi bene materiale di proprietà del signore feudale poteva essere oggetto di infeudazione e di successiva conferma, ivi comprese le acque che alimentavano i canali d’irrigazione dei quali ci stiamo occupando.