Domini collettivi: la Corte Costituzionale si pronuncia sul regime di inalienabilità delle terre gravate da uso civico

Con la recentissima sentenza del 15 giugno 2023, n. 119, la Corte costituzionale, nell’ambito di un giudizio di legittimità costituzionale promosso in via incidentale dal giudice dell’esecuzione immobiliare del Tribunale di Viterbo, è intervenuta sulla Legge 20 novembre 2017, n. 168 (Norme in materia di domini collettivi).

Contesto normativo

L’articolo 3 della legge n. 168/2017, stabilisce, al comma 1, quali siano i “beni collettivi”, tra i quali annovera “d) le terre di proprietà di soggetti pubblici o privati, sulle quali i residenti del comune o della frazione esercitano usi civici non ancora liquidati“.

Al comma 3 del medesimo articolo è previsto che il regime giuridico di tali beni è quello dell’inalienabilità, dell’indivisibilità, dell’inusucapibilità e della perpetua destinazione agro-silvo-pastorale.

Il giudizio della Corte

La Corte ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 3, comma 3, della legge n. 168/2917, nella parte in cui, riferendosi ai beni indicati dall’art. 3, comma 1, non esclude dal regime della inalienabilità le terre di proprietà di privati, sulle quali i residenti del comune o della frazione esercitano usi civici non ancora liquidati.

La Corte ha chiarito che “i diritti di uso civico in re aliena, pur non riconducibili ad alcuno dei diritti reali tipizzati dal legislatore codicistico, presentano i tratti propri della realità: l’inerenza e lo ius sequelae, l’immediatezza e l’autosufficienza, l’assolutezza e l’opponibilità erga omnes“, precisando che “in caso di alienazione delle terre di proprietà privata, i diritti di uso civico seguono il bene e i componenti della collettività continuano a poter esercitare tutte le facoltà che gli usi civici conferiscono loro. Al contempo, il diritto di proprietà circola preservando sulla terra il vincolo paesaggistico, che impedisce al proprietario di apportare modificazioni pregiudizievoli per gli usi civici».

Di conseguenza, «chiunque acquisti il fondo non può compiere alcun atto che possa compromettere il pieno godimento promiscuo», nonché il valore paesistico-ambientale correlato alla conservazione degli usi civici.

La sentenza ha dunque affermato che «l’inalienabilità della proprietà privata gravata da usi civici non ancora liquidati non presenta, dunque, alcuna ragionevole connessione logica con la conservazione degli stessi e, per il loro tramite, con la tutela dell’interesse paesistico-ambientale“.

Siffatto regime di inalienabilità non ha alcuna ragionevole connessione con lo scopo di assicurare la funzione sociale della proprietà privata.

Conclusivamente, la norma censurata determina una “irragionevole conformazione e, di riflesso, una illegittima compressione della proprietà privata”.

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