I sistemi di adduzione tradizionali e le corvées

La gestione dei canali irrigui

Il sistema irriguo tradizionale era costituito da una rete di canali che copriva l’intero comprensorio coltivato. Come già accennato, dal canale adduttore principale dipartivano un numero variabile di canali secondari di derivazione e, da questi, tutta una serie di canaletti e ruscelli per la distribuzione capillare dell’acqua all’interno del territorio.

Perché la pratica dell’irrigazione a scorrimento fosse garantita, dovevano essere soddisfatti i seguenti fattori:

  • assicurare l’erogazione di un prestabilito volume d’acqua per ogni appezzamento, corrispondente al fabbisogno idrico delle colture in relazione alle loro esigenze agronomiche;
  • assicurarne la continuità durante la stagione irrigua;
  • garantirne la corretta distribuzione all’interno del comprensorio con l’ausilio dei regolamenti di cui ogni associazione o consorzio si dotava.

A queste esigenze corrispondeva una serie di interventi non procrastinabili. Era, infatti, compito degli utenti agricoli, capeggiati dal directeur du ru o syndic, mantenere in efficienza la rete irrigua mediante periodiche e programmate corvées, così come documentato dagli storici e confermato da alcune testimonianze orali raccolte nel corso del presente studio.

In effetti, un canale irriguo avente l’alveo naturale – struttura di per sé labile, delicata e, quindi, bisognosa di continue manutenzioni – qualora resti inutilizzato anche solo per pochi anni, è destinato ad essere cancellato dall’azione della natura, non solo per il graduale riempimento della sua sede di materiale terroso e litico proveniente dalla scarpata di monte, ma anche dalla crescita di vegetazione al suo interno, favorita da un maggiore ristagno dell’acqua piovana.

 

Ru Neuf de Gignod

L’istituzione delle corvées

Dobbiamo immaginare le corvées, in senso lato, come la logica conseguenza delle attività umane allorquando sia stato necessario aggregarsi in comunità, all’interno delle quali ognuno assumeva un ruolo ben preciso. Possiamo, quindi, ritenere che questa sorta di aiuto scambievole e di prestazioni reciproche siano nate quasi spontaneamente, dettate dall’esigenza di condividere delle parti in comune da utilizzare e gestire in maniera equa e ottimale.

Le associazioni potevano interessare, in funzione dell’estensione di territorio che sovrintendevano, vari agglomerati rurali e controllavano non solo l’uso delle risorse naturali, come i boschi e i pascoli, ma anche le opere di pubblica utilità, come i mulini, i forni, le scuole, le latterie e, naturalmente, i canali irrigui.

Si è, quindi, sviluppato un sistema di lavoro collettivo che permetteva, mediante l’imposizione di un intervento comune, la costruzione e la manutenzione di ciò che si voleva o si doveva condividere. Quando i lavori per la loro natura e importanza rivestivano questa valenza pubblica, la sorveglianza e la direzione, da parte di alcuni membri preposti appartenenti alla comunità stessa, diventavano indispensabili.

Definita dai nostalgici la “gloriosa” istituzione delle corvées, questa forma di organizzazione del lavoro collettivo ha consentito il mantenimento della funzionalità idraulica dei canali irrigui durante parecchi secoli e di sottrarli così alle inevitabili trasformazioni dovute al passare del tempo, conservando molti dei loro aspetti originari. Non solo, ma come abbiamo avuto modo di osservare, la quasi totalità dei canali irrigui in Valle d’Aosta è stata costruita tramite le corvées, ossia da squadre più o meno organizzate di contadini e operai. Soltanto per la realizzazione di alcuni importanti manufatti a servizio dei canali di grande portata sono dovuti intervenire degli operai qualificati, i quali erano remunerati per le loro prestazioni.

Attraverso i regolamenti e, molto più raramente, tramite qualche atto di infeudazione come quello del Ru Courtaud, oggigiorno possiamo farci un’idea abbastanza precisa del funzionamento di questa macchina organizzativa, dove il capofamiglia e, più in generale, tutta quanta la comunità, rivestiva un ruolo di primaria importanza. Era, infatti, la famiglia ad essere chiamata per eseguire i lavori di gestione e manutenzione delle opere condivise dalla stessa comunità e, fra queste, i canali irrigui.

Lo studio dei documenti storici e l’analisi delle odierne corvées ci sono, quindi, d’aiuto per comprendere l’impegno profuso per eseguire le manutenzioni dei ru attraverso queste forme di organizzazione del lavoro. Molto spesso si trattava di eventi programmati, il cui numero di giornate lavorative erano stimate sulla base di condizioni normali di conservazione del manufatto.

Ad esempio, verso la fine del ‘700, al Ru de Joux necessitavano annualmente 288 giornate di lavoro per le riparazioni, poiché ne erano stabilite 16 per ognuno dei 18 giorni che componevano il turno irriguo.

Purtroppo, questi momenti di vita sociale tra individui appartenenti a comunità limitrofe sono oggigiorno sempre meno frequenti e, per varie ragioni, il numero di persone che partecipano volontariamente alle corvées è in costante diminuzione rispetto ad un recente passato. Sovente, per poter eseguire le manutenzioni, i consorzi irrigui e di miglioramento fondiario devono ricorrere a ditte specializzate, attribuendo le relative spese ai proprietari aventi diritto.

Inoltre, la generale disaffezione alle corvées obbligherebbe i pochi titolari di aziende agricole rimasti, che fanno affidamento anche sui terreni concessi loro in affitto, ad eseguire un numero spropositato di giornate lavorative per mantenere in efficienza la rete irrigua esistente. Questo fenomeno spiegherebbe, in parte, le discutibili scelte tecniche compiute negli ultimi decenni.

 

Gli interventi di manutenzione

Le corvées nella maggioranza dei casi non si limitavano ad essere delle semplici pulizie di alveo, ma consistevano soprattutto nel consolidare le sponde naturali del canale e nel ricostruire le murature in pietrame a secco deteriorate per cause naturali.

D’altronde, analizzando da un punto di vista tecnico-costruttivo il tracciato di un canale, possiamo notare che la struttura di sostegno in pietrame è sempre presente quando la morfologia e l’acclività del versante attraversato sono tali da non permettere che il riporto del materiale scavato, a valle dell’alveo, si stabilizzi trasformandosi in una sponda con buone caratteristiche di tenuta ed impermeabilità all’acqua.

Con i lavori eseguiti in occasione delle corvées non solamente si manteneva pulito l’alveo del canale irriguo, soggetto di continuo a riempirsi di pietre e terra proveniente da sovrastanti smottamenti, di materiale limoso e ghiaioso trasportato dall’acqua stessa, di ramaglie e di fogliame prodotto dalla vegetazione limitrofa, ma venivano anche effettuati lavori di riparazione veri e propri, quali:

  • il rifacimento o la sistemazione delle parti di alveo lesionato mediante la posa nei punti cruciali di zolle di terreno prelevate nel circondario (pare che per impermeabilizzare il fondo e le sponde del canale in alveo naturale si ricorresse ad una tecnica oggi caduta in disuso: la stesura di materiale organico, quale foglie e aghi di conifere, con sovrastante stato di terreno sciolto o limo);
  • la ricostruzione dei muretti in pietrame a secco a sostegno delle sponde del canale o del terreno sovrastante;
  • l’apposizione in verticale di lastroni in pietra per il consolidamento delle sponde di valle, qualora detto materiale sia stato disponibile in loco;
  • il preventivo disgaggio, a monte del canale, del materiale terroso e lapideo superficiale che minacciava di ostruire il passaggio dell’acqua nell’alveo;
  • la sostituzione delle paratoie, delle canalizzazioni ed altri elementi lignei marciti;
  • la manutenzione e la riattivazione delle strutture esistenti;
  • l’esecuzione di operazioni di sramatura per consentire il passaggio pedonale degli addetti alla sorveglianza lungo il tracciato del canale;
  • il taglio delle piante cresciute in posizione tale da compromettere in futuro l’integrità delle sponde e dei muri a secco di contenimento del canale (al contrario, i regolamenti vietavano il taglio degli alberi, cresciuti a valle, entro una distanza del jectum unius lapidis pugnyale, e a monte, entro la distanza di una pietra lanciata volnyry, che avevano la funzione di consolidare il terreno sul quale era costruito il manufatto);
  • in generale, tutti quei lavori necessari al mantenimento dei manufatti esistenti in perfetta efficienza e all’esecuzione di quelle opere volte a migliorare le condizioni di impermeabilità e di sicurezza del canale.

La manutenzione conservativa, il nome stesso lo suggerisce, mira essenzialmente alla conservazione strutturale dell’opera al fine di mantenerla in perfetta efficienza. Non sono, quindi, previste modificazioni di rilievo della situazione preesistente.

Per condurre questi interventi con successo è condizione imprescindibile che la manodopera sia numerosa, sempre reperibile e con un buon grado di specializzazione. Affinché tali lavori risultino anche efficaci, duraturi ed economici la condizione essenziale è che siano programmati nel tempo. Solamente una costante e assidua manutenzione del manufatto eviterà il progressivo degrado delle strutture esistenti che potrebbe portare al suo totale abbandono.

 

La conservazione degli antichi rû

Solamente qualche decennio fa, nel progettare il ripristino di un antico canale irriguo danneggiato, o non più in condizione di convogliare la necessaria quantità d’acqua, veniva data la priorità alla risoluzione delle problematiche idrauliche. Difficilmente si procedeva ad una ulteriore analisi dei pro e dei contro che conseguivano dalle consuete soluzioni progettuali, né si esaminavano i molteplici aspetti legati alla trasformazione dell’alveo del ru.

A differenza dei restauri conservativi applicati in campo architettonico, nei confronti dei quali la pubblica amministrazione è riuscita ad adottare un atteggiamento unitario, la conservazione degli antichi ru rappresenta ancor oggi una delle questioni più controverse e di più difficile attuazione. Infatti, devono essere tenute in debita considerazione un’infinità di variabili in gioco, tra le quali l’entità dei finanziamenti e degli investimenti economici, le difficoltà oggettive di eseguire validi interventi anche sotto il profilo naturalistico, l’eventuale valorizzazione di un canale dal punto di vista storico e, in ultimo, gli aspetti operativi, tecnici e idraulici.

Paradossalmente, le progredite tecnologie del terzo millennio non ci permettono ancora di trovare delle valide soluzioni alle problematiche elencate, mentre gli antichi costruttori, in pieno Medioevo, con pochissimi mezzi – ma con grandi sacrifici – hanno brillantemente superato qualsiasi difficoltà, mantenendo la vasta rete irrigua funzionale per centinaia d’anni.

Di fronte ad un intervento su un antico canale irriguo sorgono spontanee alcune domande. Alveo naturale o artificiale? Canale a cielo aperto oppure tubazione? Possiamo irrigare utilizzando un manufatto nuovo che ci permetta di ottenere la minore manutenzione possibile, oppure dobbiamo necessariamente mantenere in alveo originale i ru che ci sono pervenuti in eredità? Le risposte appaiono ora scontate, ma per decenni non si è potuto scegliere una linea d’intervento univoca.

D’altro canto non possiamo nemmeno cedere alla facile tentazione di trasformare ogni ru in condotte allo scopo di eliminare quasi del tutto la manutenzione annuale e quella a breve scadenza. Il recupero degli antichi alvei può essere considerato al pari del riattamento della sentieristica regionale che in questi ultimi decenni ha visto un notevole sforzo economico da parte della pubblica amministrazione.

Il ritorno alle corvées programmate di una volta rimane probabilmente l’unica via percorribile per il conseguimento dei migliori risultati volti all’effettiva e originale conservazione di quei canali irrigui il cui valore storico, agricolo e ambientale sia ufficialmente riconosciuto. Tuttavia la sopravvivenza dei ru non dovrebbe essere affidata unicamente alla buona volontà di qualche anziano contadino o di qualche agricoltore che trae reddito unicamente dalla coltivazione dei propri terreni, bensì a tutte le forze sociali, politiche, culturali, economiche e ambientaliste, che dimostrino di avere la necessaria sensibilità per intervenire a favore di questi antichi capolavori di ingegneria idraulica.