Le vicende storiche e l’attività agricola

Ru Neuf o Grand Ru de Jovençan a Aymavilles

L’origine dei rû

L’analisi e lo studio degli atti di infeudazione ci consentono di far risalire almeno alla prima metà del XIII secolo la realizzazione dei più antichi e importanti canali irrigui in Valle d’Aosta; le fonti scritte risalenti ad epoche anteriori, infatti, sono molto rare.

Sebbene gli aspetti climatici e demografici non siano da trascurare, abbiamo motivo di ritenere che la costruzione dei grandi ru coincida con l’affermarsi del potere signorile. Un’importante opera pubblica deve necessariamente essere sostenuta dal signore feudale, oltre che essere fortemente voluta dalle varie comunità di contadini che l’avrebbero dovuta realizzare e mantenere.

Molti autori non escludono, tuttavia, che in epoche anteriori si siano potuti costruire dei canali d’irrigazione di minore importanza nelle vicinanze di corsi d’acqua. D’altronde le tecniche di costruzione in materia di idraulica erano conosciute da tempo immemore.

Insieme ai castelli medievali, ai villaggi rurali con le loro strutture private e ad uso collettivo, alle borgate cittadine, alla viabilità carrozzabile e pedonale, alla costruzione di terrazzamenti per una migliore coltivabilità dei fondi, i ru hanno caratterizzato questa regione, attraversando pressoché indenni varie epoche storiche.

Sembrerebbe, infatti, che alcuni canali irrigui risalgano ad un periodo addirittura anteriore a quello documentato dagli stessi atti di infeudazione.

Nelle Chartæ Augustanæ riguardanti la cessione di beni, con i termini aquaricia oppure aquariciis, si indicavano genericamente i diritti di irrigare le terre descritte nelle carte. Gli stessi documenti, tuttavia, non sono mai così precisi da consentire la sicura individuazione e localizzazione di un determinato canale.

 

Distribuzione dei rû sul territorio

Se, per alcuni aspetti, le tipologie dei canali irrigui in Valle d’Aosta sono accomunate da una moltitudine di elementi costruttivi, non altrettanto si può affermare circa la loro ubicazione sul territorio. Prendendo in esame esclusivamente i ru di una certa rilevanza agricola, possiamo individuare genericamente nell’aadret e nel fondovalle una maggiore concentrazione di opere irrigue.

Questa porzione di territorio – che comprende la valle centrale lungo la Dora Baltea da Avise a Pont-Saint-Martin e l’imbocco delle vallate laterali e che, non a caso, rappresenta l’area di minore piovosità di tutta la regione – possiede, infatti, delle caratteristiche geomorfologiche più adatte allo sfruttamento dei terreni per scopi agricoli, anche se la più intensa esposizione ai raggi solari dell’aadret determina condizioni di relativa aridità.

L’esistenza di vallate molto ampie e lunghe ha favorito un numero elevato di insediamenti rurali e, di conseguenza, un maggiore sviluppo comprensoriale dell’agricoltura. Nel fondovalle e a mezza collina, dove si potevano praticare delle coltivazioni foraggere di tipo intensivo con almeno due sfalci annuali e il consueto pascolo autunnale, troviamo delle opere che, da un punto di vista idraulico, si presentano molto più grandi e complesse. La fitta rete di canali secondari aveva lo scopo di irrigare tutti gli appezzamenti coltivati, in ogni punto del comprensorio.

In conseguenza di questi fattori geografici e climatici, dobbiamo anche rilevare che i canali irrigui dell’aadret sono normalmente più lunghi di quelli dell’invers, poiché qui i corsi d’acqua naturali aventi un flusso costante sono pochi. Bisognava quindi approvvigionarsi nei torrenti la cui portata idrica era più abbondante e sicura.

Per contro possiamo notare che i comuni montani, vale a dire quei comprensori la cui agricoltura è praticata a quote superiori ai 1200 metri s.l.m., dispongono di un rilevante numero di canali, molto spesso di piccola portata e di limitata lunghezza. La maggior parte di essi servivano, infatti, sia per l’abbeveraggio degli animali monticati, sia per la fertirrigazione degli alpeggi e per l’irrigazione dei terreni situati ad una quota intermedia, i quali venivano sfalciati una sola volta all’anno.

 

I toponimi dei rû

In molti casi i ru della nostra regione sono conosciuti con il toponimo della località che si trova nei pressi dell’opera di presa. Probabilmente ciò è dovuto al fatto che negli atti di infeudazione si precisava il luogo di prelievo nel torrente, qualora nello stesso corso d’acqua si fossero dovuti tutelare altri diritti. Ricordiamo che, ancor oggi, retaggio del passato, viene data notevole importanza alla quota di ubicazione dell’opera di presa, come a voler sottolineare che, per quei canali situati più a monte, esiste un diritto prioritario di derivare tutta l’acqua occorrente, lasciando il sovrappiù defluire verso valle.

Troviamo, quindi, tutta una serie di canali irrigui che portano il nome di alpeggi, come ad esempio il Ru de Chavacour, il Ru de By, il Ru Courtaud, il Ru Novales, per citarne alcuni, anche se i relativi comprensori irrigui sono situati molto più a valle.

La maggioranza dei ru, tuttavia, porta il nome di località o di importanti villaggi situati lungo il loro percorso, di terreni generalmente irrigati dal ru in questione o di nuclei di abitazioni rurali alimentati dalle sue acque (ad esempio, il Ru de Champlong, il Ru d’Arbérioz, il Ru d’Arlaz, il Ru Pommier, ecc.).

Per quanto concerne il nome dei ru derivati da toponimi, possiamo anche trovare, in alcuni rari casi, canali che portano il nome dell’ultima frazione interessata dal percorso del manufatto, per intenderci, quella più distante dalle opere di presa. Il Ru de Marseiller e il Ru de Runaz terminano negli omonimi villaggi, dopo aver percorso parecchi chilometri, irrigato molti altri comprensori coltivati ed anche alimentato molte altre abitazioni.

Tuttavia i ru non erano solamente identificati mediante un toponimo conosciuto. Troviamo, infatti, una serie di nominativi utilizzati da varie comunità della nostra regione:

  • i ru Neuf potevano indicare un manufatto esistente che, dopo un periodo di prolungato abbandono, è stato in seguito ristrutturato e rimesso in servizio utilizzando lo stesso tracciato; ma non è escluso che l’appellativo di neuf venisse riservato al più recente tra i canali facenti parte di un medesimo complesso irriguo oppure, ancora, ad un manufatto il cui alveo sia stato semplicemente oggetto di ampliamento;
  • i ru Plan sottolineavano le peculiarità idrauliche di alcuni canali con alveo di pendenze inferiori alla norma, ma non è del tutto escluso che irrigassero in prevalenza dei terreni pianeggianti;
  • i ru des Prés, des Champs oppure des Vignes evidenziavano le qualità colturali maggiormente irrigate dal manufatto;
  • i ru du Bourg mettevano in risalto il fatto che questi canali avevano una prevalente funzione di alimentare le abitazioni e gli orti di loro pertinenza, i cosiddetti usi civici;
  • i ru des Îles e des Teppes indicavano quei canali che irrigavano dei terreni attigui ai corsi d’acqua, destinati a subire frequenti allagamenti oppure erosioni;
  • i ru des Glairs oppure des Lliers segnalavano quei ru il cui tracciato interessava terreni soggetti a movimenti franosi o che irrigavano dei terreni di origine alluvionale;
  • i ru Herbal indicavano genericamente quei canali irrigui che, irrigando prevalentemente le colture foraggere, molto spesso costituivano il confine tra diverse proprietà;
  • i ru des Allemands si riferivano probabilmente a quei canali i cui utenti o costruttori erano di origine alemanna;
  • i ru du Seigneur ci ricordano la proprietà nobiliare del manufatto oppure l’iniziativa del signore feudale al quale si doveva la sua costruzione o manutenzione;
  • i ru Damon, Dessus, Supérieur, Desot, Dessous, Inférieur fornivano con precisione la loro dislocazione altimetrica rispetto ad altri canali irrigui esistenti nella zona;
  • i Ruet, Grand Ru, Petit Ru e La Rivetta suggerivano le loro caratteristiche tecniche ed idrauliche, in particolare la portata idrica;
  • i ru Fabrique, Moulin, Reissia, des Artifices e de la Muneresse, il nome stesso lo indica, erano i canali utilizzati non solamente a scopo agricolo ma anche artigianale.

Risultano, infine, interessanti i toponimi derivati dall’abbandono di un canale irriguo. Nella collina di Châtillon troviamo, ad esempio, la località Plan Perdu mentre a valle della frazione Dizeille di Saint-Vincent è situato il Champ Mort, probabilmene in memoria di territori un tempo irrigati e divenuti improduttivi.

 

L’attività agricola in un’economia di sussistenza

Gli elementi che ci consentono di tracciare con precisione il panorama agricolo medievale, nei primi secoli del secondo millennio, quando la maggior parte dei canali irrigui doveva essere ancora costruita, non sono tutti noti. Anche se viene stimato che non meno del 90% della popolazione era impegnato nell’agricoltura, l’esistenza di questa maggioranza di individui, rispetto alla nobiltà, al clero e alla borghesia, è infatti, mal documentata.

Secondo le attuali conoscenze, derivanti per lo più dagli elenchi dei censi feudali corrisposti in natura, possiamo ritenere che l’agricoltura in Vallis Augustæ, insignita del titolo onorifico di Ducato nel 1238 per opera di Federico II, si basasse prevalentemente sulla coltivazione di cereali, legumi, ortaggi e, in secondo luogo, sulla produzione di foraggi per l’alimentazione animale, frutta, piante tessili e oleose. Il sostentamento che ne derivava, sebbene frugale, era dunque molto più vario di quanto ci si sarebbe potuto aspettare!

La segale rappresentava la coltura cerealicola di gran lunga più importante, la più diffusa a partire dal Medioevo fino al XIX secolo, quella che meglio poteva adattarsi al clima siccitoso di questa regione e ai suoi terreni magri, talvolta situati ad altitudini elevate. Molti documenti storici ne attestano un largo impiego come prodotto agricolo da barattare oppure come tassa da pagare al signore feudale. Altri cereali coltivati, ma in percentuale decisamente inferiore, erano il frumento, nelle zone altimetricamente più basse, l’orzo, l’avena, il grano saraceno ed anche il miglio. A quei tempi erano i cereali utilizzati per la panificazione, che veniva differenziata a seconda dei ceti sociali di appartenenza: il prodotto più raffinato, a base di frumento, era destinato alla nobiltà, il pane nero, più rustico, alle classi più povere.

Fiorente, inoltre, doveva essere la coltivazione degli ortaggi, tra i quali si annoveravano il cavolo, le fave, i porri, le rape, i ravanelli, le cipolle, i fagioli e la zucca, per la preparazione di minestre destinate soprattutto ai ceti meno abbienti.

Dalla spremitura delle noci e, in misura inferiore, delle mandorle si ottenevano gli unici condimenti lipidici di origine vegetale dell’epoca, mentre dall’essiccamento e dalla successiva macinatura della castagna si ricavava una nutriente farina.

Completava il quadro agricolo la coltivazione della vite e di altri frutti, i più importanti dei quali erano le mele, le pere e le prugne.

L’allevamento rappresentava una fonte importante non solo per l’alimentazione umana (carne e prodotti lattiero-caseari), ma anche per la produzione di manufatti in cuoio e tessuti in lana. Le pecore e le capre, infatti, erano gli animali di gran lunga più numerosi, i soli che potevano accontentarsi della non elevata qualità di foraggio cresciuta negli incolti sterili e che riuscivano a cibarsi del fogliame, disponibile invece in gran quantità.

Diversamente, l’allevamento di bovini rendeva indispensabile utilizzare le superfici a pascolo situate alle quote più alte, gli alpeggi, mentre il foraggio necessario alla stabulazione invernale degli animali lattiferi si poteva ottenere dai terreni più fertili e naturalmente umidi. I pascoli degli alpeggi dovevano rivestire una notevole importanza poiché si ha notizia, dall’analisi dei documenti storici, di frequenti liti tra i vari possessori aventi diritto.

Anche l’allevamento degli animali della bassa corte, come maiali, capponi e galline, ricopriva un rilevante interesse dal punto di vista nutrizionale; sovente questi animali domestici erano utilizzati come moneta per il pagamento dei censi dovuti al signore feudale.

Nel Medioevo, la Valle d’Aosta è stata un importante crocevia di prodotti di vario genere, in particolare le spezie, appannaggio esclusivo delle classi sociali più ricche. Pepe, chiodi di garofano, cannella, zenzero, cardamomo, zafferano e zucchero, da Costantinopoli arrivavano a Venezia e da lì, attraverso la Pianura Padana ed i valichi alpini del Piccolo e del Gran San Bernardo, raggiungevano la Francia, la Svizzera e gli altri paesi del Nord Europa. Quasi tutto il sale consumato in Valle d’Aosta traeva origine da miniere di salgemma, poiché quello marino non era apprezzato. Il prezioso alimento proveniva da Bourg-Saint-Maurice, in Tarentaise, da Saint-Maurice d’Agaune nel Vallese, nonché dai depositi di Ivrea e Grenoble.

Per completare questo breve panorama agricolo dobbiamo sottolineare l’importanza che i boschi rivestivano nell’ambito dell’economia rurale dell’epoca. Lo sfruttamento della foresta a varie altitudini, infatti, non era finalizzato solamente all’attività venatoria, la cui selvaggina era spesso destinata al solo feudatario, e alla raccolta del fogliatico destinato agli ovini e ai caprini, bensì anche all’ottenimento dell’indispensabile legname per il riscaldamento invernale delle case, per la costruzione di abitazioni e, infine, per ottenere il carbone utilizzato nelle varie attività artigianali che, con il passare del tempo, andranno ad affermarsi anche nella nostra regione.

Inoltre, all’interno dei boschi radi poteva essere intrapresa con successo un’intensa attività pascolativa per i soli bovini, dal momento che gli ovicaprini avrebbero provocato danni troppo ingenti.

Pure l’interesse per i boschi, unitamente alla loro non perfetta delimitazione dei confini di proprietà, ha favorito un susseguirsi di contenziosi tra i proprietari e le comunità interessate, soprattutto per quanto riguarda il diritto di legnatico.

Famose sono state le vertenze relative ai boschi di Vencorère, in comune di Verrayes, iniziate nel lontano 1315 e attenuate solamente con l’atto di transazione del 2 aprile 1434, riconosciuto altresì dai signori di Nus.

 

L’incremento dell’allevamento dei bovini

Quali sono stati i motivi che, da una parte, hanno favorito lo sviluppo dell’allevamento dei bovini in Valle d’Aosta, e dall’altra hanno reso pressoché obbligatoria la realizzazione, nei secoli XIV e XV, di gran parte della rete idrica che noi oggi conosciamo?

Possiamo ritenere che l’aumento demografico e le particolari condizioni di siccità – peraltro documentate in alcuni atti di infeudazione – siano stati i soli fattori responsabili della costruzione di queste opere idrauliche a servizio dell’agricoltura? O, piuttosto, dobbiamo ricercare una concausa nel cambiamento del tipo di economia che, sebbene sostanzialmente chiusa, iniziava ad aprirsi verso i paesi limitrofi, mediante la vendita di carne o di animali vivi?

Forse non lo sapremo mai con certezza, ma è fuor di dubbio che gli studi specifici sui rapporti tra popolazione rurale, agricoltura e commercio di prodotti agricoli – per quanto concerne la nostra regione e questo periodo storico che riguarda in particolar modo i canali irrigui – sono ancora da approfondire.

Alcuni studi compiuti nel vicino Vallese dimostrerebbero che l’allevamento dei bovini, in questa regione elvetica, era finalizzato alla vendita di vitelli sul mercato del Canavese; di fronte ad una specifica domanda di commercio di animali vivi, anche la Valle d’Aosta avrebbe potuto offrire un prodotto dalla qualità concorrenziale.

La maggioranza degli storici valdostani, tuttavia, mette in relazione un improvviso aumento demografico e un periodo di prolungata siccità, a partire dalla fine del XIII secolo, con l’esigenza di irrigare le colture agricole, i cui prodotti, si stima, dovevano assicurare la sopravvivenza di una popolazione di oltre centomila persone – secondo i calcoli di alcuni – e l’agiatezza di un centinaio di famiglie nobili.

Il XIV secolo, infatti, rappresenta il massimo sviluppo demografico seguìto, di conseguenza, dalla massima estensione del territorio coltivato; ciò sarebbe documentato anche dalla quantità di atti di infeudazione che concernevano il dissodamento dei terreni per delle nuove colture foraggere (novalium).

Questo fenomeno è in contrasto con quanto accadeva nello stesso periodo nel resto d’Europa, dove invece si assisteva ad una significativa diminuzione delle superfici messe a coltura.

L’agricoltura nella nostra regione, dapprima essenzialmente cerealicola, ma con un già radicato allevamento di bestiame di piccola taglia come pecore, capre e maiali, ha lasciato uno spazio via via sempre più consistente all’allevamento dei bovini, con la conseguente valorizzazione delle colture foraggere, la probabile conversione dei seminativi in prati da sfalcio e la ricerca di nuovi pascoli estivi in quota. Infatti, al contrario degli ovicaprini, i bovini si nutrono preferibilmente di foraggi e fieni di qualità, mentre richiedono un maggiore periodo di stabulazione invernale e, dunque, una grande quantità di fieno a disposizione.

Queste nuove esigenze agronomiche, dovute al tipo di allevamento che si stava rapidamente diffondendo, hanno certamente spinto la popolazione rurale a rifornirsi della maggiore quantità d’acqua richiesta, là dove questa era più abbondante e disponibile, vale a dire nei torrenti.

Nel corso di circa due secoli, oltre al dissodamento dei terreni, è stato realizzato un efficiente e capillare sistema di irrigazione, consistente in una rete di canali che sopperisse all’insufficienza delle precipitazioni. Con la pratica dell’irrigazione, le colture foraggere, molto più esigenti in termini idrici, poterono affermarsi anche nelle zone più asciutte del fondo valle e della media collina, e questa possibilità incrementò un tipo di allevamento, quello di animali lattiferi di grossa taglia, volto ad ottenere una maggiore produzione di alimenti con un alto contenuto proteico, quali il latte, il formaggio e la carne. Purtroppo, allo stato attuale delle conoscenze, non è dato sapere quali siano state le percentuali delle colture praticate nelle varie epoche storiche considerate.

Tuttavia, l’allevamento delle bovine da latte doveva essere già praticato in tempi più antichi, poiché in un elenco dei cespiti di reddito della castellania di Châtel-Argent, redatto tra il 1267 e il 1268, il più antico finora conosciuto, si fa riferimento alla ricotta (seracium), il sottoprodotto lattiero-caseario che si otteneva dopo aver confezionato il formaggio utilizzando il latte intero.

A testimonianza dell’importanza, nel corso del Medioevo, che il seras rivestiva nell’alimentazione valdostana, è sufficiente pensare che la contessa Bonne de Bourbon negli anni 1365 e 1367 inviò ai suoi parenti di Milano alcune forme stagionate di questo prodotto caseario insieme a delle trote.

In un altro documento del 1270 è citato il vacherinus – molto probabilmente, secondo Francesco Mathiou – il progenitore dell’odierna fontina, preteso come censo per l’affitto di un alpeggio ad Issogne.

Da altre ricerche condotte da Marco Ansaldo e riportate nel volume Aosta antica racconta, antologia di vita valdostana, risulterebbe che il termine «fontin» compare nei Registres du Pais il 29 dicembre 1646, per indicare il formaggio prodotto nell’omonimo alpeggio del mandamento di Quart. Questa tipologia di prodotto caseario poteva anche essere chiamato formaggio di Saint-Barthélemy.

Tra le tante qualità di formaggio prodotto in Valle d’Aosta, esisteva anche il formaggio di Cittrun, mentre nella valle del Gran San Bernardo, vista la probabile influenza del vicino Vallese, vi erano anche delle forme chiamate greviye, di peso più rilevante (circa 15-20 kg) che ricordavano quelle prodotte oltralpe.

La conduzione in comune degli alpeggi consentiva di allevare, seppure per un breve periodo dell’anno, le mandrie di bovini composte da un rilevante numero di capi e di ottenere così la quantità di latte, per ogni mungitura, sufficiente per produrre formaggi a pasta grassa di media-grossa pezzatura.

Altri prodotti come il formaggio magro e il burro dovevano essere tenuti in gran considerazione nella dieta alimentare dell’epoca, dal momento che sovente erano citati nelle carte.

Documenti attestano che, verso la fine del XVIII secolo, i due terzi del formaggio prodotto nel Duché d’Aoste era venduto sul mercato piemontese.

 

Dopo la scoperta del nuovo mondo

Fino al XVIII secolo, l’utilizzo intensivo del territorio per la mera sussistenza dei suoi abitanti aveva determinato profonde modificazioni nel paesaggio. La delimitazione dei comprensori coltivati a foraggere, a seminativo e a pascolo, inoltre, era in gran parte definita, così come risulta dai primi rilievi catastali eseguiti. La situazione agricola del territorio sarà destinata a rimanere invariata fin quasi alla seconda guerra mondiale.

Un censimento effettuato verso la fine del Settecento indica che il patrimonio bovino in Valle d’Aosta si attestava sui 40.000 capi inclusi i buoi, con valori molto simili a quelli odierni. Le pecore e capre erano, invece, complessivamente oltre 80.000, valore questo più che decuplicato rispetto all’attuale, segno evidente che anche gli incolti produttivi e i terreni asciutti erano sfruttati a pascolo per l’allevamento degli ovicaprini, la cui alimentazione è meno esigente.

Tra le varietà commestibili coltivate dopo la scoperta delle Americhe, la patata era senza dubbio la più importante per la popolazione valdostana. È stata introdotta per la prima volta, secondo quanto racconta il canonico Pierre-Louis Vescoz, nel 1777 dal notaio Jean-François Frutaz, castellano di Cly, di ritorno da un viaggio in Francia. Questi piantò alcuni tuberi nel giardino della propria casa, a Chaméran, in comune di Châtillon, e nel villaggio di Valleil a Torgnon. Tuttavia, solamente dopo alcuni decenni, la patata si è diffusa in tutta la valle.

Molto apprezzato per la sua facilità di coltivazione e per il suo contenuto nutritivo era, inoltre, il mais, anche questo portato in Europa da Cristoforo Colombo. Per ciò che riguarda la nostra regione, secondo quanto riporta Joseph-Gabriel Rivolin nella sua opera Pollein. Materiali per una storia, il più antico documento che attesti la coltivazione del granoturco è datato 1759 e si riferisce alla cascina di Saint-Benin condotta dai Padri Barnabiti.