Pagine di storia valdostana

Ru Prévot Grand-Arvou

De Tillier e « Les ruisseaux du Duché d’Aôste »

Jean-Baptiste De Tillier (1678-1744) è stato forse il primo tra i grandi storici valdostani ad occuparsi dei ru. Nel suo Historique de la Vallée d’Aoste del 1740, considerato il più completo saggio di storia civile, religiosa, economica e politica della nostra regione redatto su base storico-scientifica, ci fornisce – tra gli innumerevoli argomenti affrontati – preziose indicazioni sul tipo di colture agricole praticate ai suoi tempi, informazioni utili per comprendere l’origine degli antichi canali irrigui:

« […] les hautes montagnes du duché d’Aôste abondent en gras paturages ou l’on nourrit pendant l’esté une grande quantité de gros et de menu betail, ou l’on fait d’excellent beurre et de plusieurs sortes de bons fromages […]. Les montagnes moyenes donnent du bled, seigle, des orges, des avoines, quelques legumes et de bons fourrages. Les collines plus basses fournissent encor quelques grains, produisent quantité d’amandriers, noyers, chataigniers, tous autres arbres fruitiers et beaucoup de vins rouges, blancs, et muscats, […] ».

Lo storico precisa che la coltivazione delle terre avveniva in modo quasi esclusivamente manuale poiché scarso era l’utilizzo degli animali e pressoché sconosciuto era l’aratro; infatti, le colline dove si praticava la cerealicoltura erano lavorate con la sola forza delle braccia, così pure la vite, la cui manutenzione delle strutture in legno a sostegno delle pergole era molto onerosa. Inoltre, le colture foraggere seroint infructueuses et de nul rapport, si elles n’estoint copieusement arrosées, et ce a cause de la legereté des terres touttes graveleuses. Possiamo considerare, questa, una prima e importante indicazione sulla necessità di effettuare un apporto idrico artificiale su determinate colture agricole, precisazione di tipo agronomico messa in evidenza da pochissimi altri autori.

Riferendosi, invece, al clima della regione il De Tillier scrive: « Le climat du duché d’Aôste est très bon pour la santé quoyque un peu vif pour ceux qui n’y sont pas accoutumés. Il est quelque fois extremement froid en hiver, tres sec, venteux et aride le printems et l’esté ».

Mentre, motivando le principali cause della relativa aridità in Valle d’Aosta, lo storico sostiene che:

« La secheresse d’ailleurs, causée par des vents continuels qui detournent les pluyes et dessechent les terres d’une maniere qu’elles ne semblent quelquefois que cendre e que poussiere […]. Et l’on peut dire qu’une grande partie resteroit inculte et infructueuse, sans l’industrie qu’ont eu de tout tems les habitants de tirer des cannaux des torrents ou de la riviere, et de les conduire a grand frais a travers des collines et des rochers, même par des cavités creusées dans la pierre vive ou des arches de bois suspendues et attachées a ces rochers ou la pente en est trop droitte, pour servir a l’arrosement de leurs terres, non seulement des jardins et des prairies, mais encor des champs et des vignes ».

Segue poi una breve dissertazione sul ruisseau du Prevost, senza peraltro entrare nei dettagli storici, salvo una descrizione un po’ più approfondita del ponte acquedotto, il quale doveva averlo colpito molto per la sua imponenza e solidità. Analizzeremo e studieremo più dettagliatamente il Grand Arvou, il più importante monumento medievale in campo idraulico lasciatoci in eredità.

Per quanto scarne, il De Tillier ci fornisce, attraverso la sua opera, interessanti e degne di nota informazioni storiche sui canali irrigui, segno evidente che anche dal punto di vista storico questa peculiarità della nostra regione incominciava ad interessare gli uomini colti dell’epoca.

 

Vignet des Etoles e « l’Etat des canaux d’arrosement »

La centralizzazione del potere sabaudo raggiunge il suo apice trasferendo all’intendente generale tutti i poteri affidati in precedenza al Conseil des Commis, una delle istituzione locali che fino a quel momento aveva governato il Duché d’Aoste ed ora improvvisamente ritenuta inutile. È in questa importante fase storica che nel 1773 il barone Aimé-Louis-Marie Vignet des Étoles, originario di Thonon (Haute Savoie), diventa il primo intendente sabaudo presso la nostra regione. Fino al 1784 svolgerà con dedizione, scrupolo e perizia questo delicato incarico.

Il suo difficile compito consisteva nell’amministrare una regione che dal punto di vista socio-economico versava in gravi condizioni, sebbene la maggioranza dei suoi 66.000 abitanti fossero dediti con fervore all’agricoltura, tanto da allevare, secondo le stime da lui stesso fornite, ben 22.700 vacche, 13.600 tra buoi, vitelli e manzi, 56.000 montoni e pecore, circa 3000 cavalli e muli in gran parte destinati al mercato esterno, e tanto da far produrre, attraverso la pratica dell’irrigazione e della concimazione dei campi, nelle buone annate, quattro o cinque sacchi di grano da uno di sementi (quasi un record per quell’epoca). Tuttavia l’acquisto delle granaglie dal Piemonte e dalla Tarentaise era una prassi comune, soprattutto quando i raccolti divenivano scarsi a causa del gelo primaverile o della siccità prolungata.

Analizzata attentamente la situazione amministrativa generale, Vignet des Étoles, con il duplice obiettivo di favorire l’economia, da una parte, e di risollevare le finanze ducali, dall’altra, intraprende una serie di iniziative tra le quali ricordiamo l’ammodernamento della rete viaria e la costruzione di arginature della Dora Baltea e dei suoi affluenti a protezione di villaggi e terreni coltivati.

Torniamo ora ai principali argomenti della nostra ricerca citando l’opera di Vignet des Étoles datata 21 aprile 1778, Mémoire sur la Vallée d’Aoste, a cura di Fiorenzo Negro:

«Ce son les prés et les paturages sur les montagnes qui, en donnant à ce païs moyen d’entretenir un nombreux betail excedant la consommation, fait sa principale branche de revenu […]. C’est avec de considerables depenses qu’on a construit anciennement des canaux d’arrosemens soit biailleres appelés ici Rû dont plusieurs remontent jusqu’aux pieds des glaciers qui traversent plusieurs lieux par des ponts et murailles sur les rochers et precipices, pour venir arroser des territoires comme est celui de St. Vincent […] ; d’autres se tirent de la Doire ou du Buttier. On a rangé et egalisé partout le terrein pour le disposer aux arrosemens: chacun a sa quantité d’eau et ses heures fixées […] ».

Sempre nel terzo capitolo troviamo ancora un riferimento ai canali irrigui: «Les canaux d’arrosement avoient aussi chacun leur reglement qu’on a maintenu de meme autant qu’on a pu, mais pour y faire quelques changemens que la necessité ou l’utilité exigent et que les interessés demandent et pour pourvoir à leur execution et eviter les querelles, il faudroit recourir au Senat pour les faire approuver […]. Segue poi, entrando nel merito del proprio incarico e come a voler evidenziare il pubblico interesse che i canali irrigui rivestivano, la proposta di delegare l’intendente stesso a pourvoir au maintien et reparation des canaux d’arrosement, ainsi qu’on le detaillera mieux dans le projet du reglement des communautés.

Proprio questo grande interessamento per i canali irrigui, considerati probabilmente come veicolo di progresso in campo agricolo, indispensabili per ottenere una buona produzione in una vallata piuttosto inospitale e difficilmente coltivabile, porta l’intendente ad informarsi sullo stato di manutenzione dell’intera rete irrigua. Il 20 gennaio 1780 Vignet des Étoles invia a tutti i comuni del ducato una circolare chiedendo di relazionare sullo stato di manutenzione dei canali irrigui e di altri beni pubblici.

Nell’ambito della risoluzione dei problemi urbanistici della città di Aosta, Vignet des Étoles, secondo quanto ci racconta Roberta Rio nel libro Vignet des Étoles. Primo Intendente sabaudo in Valle d’Aosta 1773-1784, tenta di ammodernare e rendere più decorosa la città di Aosta. Un argomento che gli sta a cuore è quello dei ruscelli che, scorrendo nelle vie principali, causano dei problemi alla viabilità carrozzabile e pedonale.

La sua proposta, appoggiata dall’ingegnere idraulico Faldella, è quella di sostituire i tradizionali canali in legno, in pietra oppure in alveo naturale, della profondità di circa un piede e mezzo, con le cosiddette conques, vale a dire delle vere e proprie cunette centrali, formate da due contrapposte pendenze delle carreggiate convergenti verso l’asse stradale. In questo modo l’acqua sarebbe stata obbligata a scorrere nel centro della via cittadina e la modesta profondità della conque non avrebbe causato nessun pericolo per la viabilità.

Sotto l’asse stradale, inoltre, poteva trovare sede un canale sotterraneo per addurre la quantità d’acqua necessaria ai giardini e ai prati da irrigare. Tale soluzione tecnica, sebbene molto funzionale dal punto di vista idraulico, trova l’opposizione di una parte del consiglio comunale perché non si sarebbe più potuto lavare comodamente il bucato. Vignet des Étoles riesce, tuttavia, a realizzarne qualche tratto a scopo dimostrativo.

Ancor oggi, passeggiando nelle vie del Decumanus maximus, possiamo notare una pendenza accentuata verso l’asse stradale per evitare che le acque piovane si indirizzino verso le abitazioni.

 

Joseph-Auguste Duc e « L’Histoire de l’Eglise d’Aoste »

Proveniente da una agiata famiglia di mercanti, Joseph-Auguste Duc si distingue negli studi ecclesiastici, tanto da essere nominato, a soli 37 anni, vescovo di Aosta, carica che ricoprirà per ben cinquant’anni, fino alla sua morte avvenuta il 13 dicembre 1922. È considerato, a ragione, uno dei maggiori storici che la nostra regione abbia mai avuto. Oltre al suo impegno di esperto paleografo e editore di fonti, infatti, monsignor Duc è autore di una sessantina di studi e di un centinaio di mémoires redatte quando era alla presidenza dell’Académie de Saint-Anselme.

Nell’Histoire de l’Église d’Aoste, monumentale opera in dieci volumi editi tra il 1901 e il 1915, monsignor Duc racconta in ordine cronologico i principali avvenimenti che riguardano la Valle d’Aosta, così come sono stati desunti dai documenti appartenenti ai numerosi archivi ecclesiastici consultati (soprattutto, per quanto riguarda il periodo relativo alla costruzione dei primi canali irrigui, il Cartulaire de l’évêché d’Aoste, risalente alla seconda metà del XIII secolo, e il Livre des cens de l’évêché d’Aoste del 1305).

I volumi componenti l’opera sono suddivisi in capitoli, il cui titolo è sempre dedicato al vescovo che, nel periodo storico considerato, era a capo dell’episcopato di Aosta. In ogni capitolo troviamo non solamente tutti gli eventi salienti che hanno caratterizzato le varie epoche, ma anche delle vicende minori, raccontate come una semplice sequenza di fatti frammentari.

La cronistoria che ne consegue, pur essendo improntata principalmente sulle vicende e sulle proprietà ecclesiastiche e nobiliari, finisce con l’illustrarci un mondo politico, economico, militare, agricolo e sociale sotto un’insolita e multipla veste.

L’abbé Henry, ispirandosi in larga parte alla grandiosa opera di monsignor Duc e mantenendone la stessa impostazione di base, avrà il merito di rendere la storia della Valle d’Aosta fruibile ad un maggior numero di persone, attraverso il suo libro Histoire populaire religieuse et civile de la Vallée d’Aoste, una sintesi che contava ben 411 pagine.

 

« L’Abbé Henry et les vieux rus de la Vallée d’Aoste »

«Le réseau d’irrigation de la Vallée d’Aoste était autrefois complet. C’était même le plus perfectionné de toute la chaîne des Alpes»: in questo modo l’abbé Henry inizia il paragrafo dedicato ai ru nella sua opera intitolata Histoire de la Vallée d’Aoste, pubblicata per la prima volta nel 1929. Lui stesso la definiva nella prefazione un manuel populaire, sans aucune prétention scientifique, tuttavia vi troviamo quattro pagine dense di indicazioni su alcuni dei più importanti canali irrigui della nostra regione: data di costruzione o di prima infeudazione, personaggio storico al quale si deve l’autorizzazione per la costruzione dell’opera, eventuali altre notizie tecniche e geografiche.

L’abbé attribuiva alla peste del 1630 l’origine dell’abbandono di une grande partie des rus. Dal momento che la peste aveva mietuto un così elevato numero di vittime, difficilmente la popolazione contadina superstite avrebbe potuto garantire la manodopera necessaria alla manutenzione delle strutture esistenti. È probabile, infatti, che l’utilizzo di alcuni canali irrigui si sia protratto nel tempo fino a quando un evento calamitoso – ad esempio il crollo dei muri di sostegno oppure delle arcate – che avesse richiesto un prolungato e ingente impiego di lavoratori per la sua riparazione, ne causava il definitivo abbandono.

Infine, l’abbé Henry pone l’accento sullo spirito di cooperazione degli appartenenti a parrocchie diverse nel costruire materialmente i canali, attraverso l’organizzazione delle corvées:

«Une vaste monographie sur le réseau d’irrigation valdôtain nous révélerait des choses merveilleuses. Elle nous ferait toucher du doigt […] l’union admirable de tous les habitants non seulement d’une paroisse mais de plusieurs paroisses, travaillant ensemble […] pendant de longues années, jusqu’à complet creusement du ruisseau […] ».

 

Umberto Monterin – Il clima delle alpi e gli antichi canali d’irrigazione

Dalla penna del prof. Umberto Monterin: «Ho già avuto occasione di ricordare in un mio lavoro di alcuni anni fa la grande importanza che i canali d’irrigazione hanno avuto ed hanno tuttora nell’economia agricola delle regioni montane, specialmente nei bacini chiusi a scarsa precipitazione come quelli della Valle d’Aosta e del Vallese.

Una sistematica, minuziosa ed accurata indagine sulla loro ubicazione e distribuzione e relativa epoca della costruzione, determinando il numero di quelli che vennero successivamente abbandonati ricercandone l’epoca approssimativa e le cause determinanti il loro abbandono, sarebbe un’opera interessantissima e d’indubbia utilità ai fini della ricerca sulle variazioni climatiche.»

Con queste frasi l’insigne climatologo, geologo e glaciologo nato a Gressoney-La-Trinité introduce il capitolo dedicato ai canali irrigui nel suo trattato breve Il clima sulle Alpi ha mutato in epoca storica? scritto nel 1936 e raccolto nel volume Il clima e le sue variazioni, a cura di Augusta Vittoria Cerutti. In questo lavoro lo studioso dimostra, con l’ausilio di ricerche storiche e con i dati scientifici raccolti negli osservatori del Monte Rosa di cui egli è stato il direttore dal 1925 al 1940, anno della sua morte, che il clima nel periodo anteriore alla metà del XVI secolo è stato molto più caldo e più secco rispetto a quello dei secoli successivi. Proprio quel periodo da lui chiamato freddo-umido – per indicare quella fase iniziata nella metà del XVI secolo che portò ai grandi sviluppi glaciali della seconda metà del XVII secolo e durò fino alla metà del XIX – sarebbe poi stato definito dalla scienza moderna piccola età glaciale.

Inoltre, osservando le fasi di progressione e regressione del ghiacciaio del Lys nel corso dei secoli, Monterin riesce ad intuire che vi era un’intima relazione tra le oscillazioni delle masse glaciali e le corrispondenti variazioni della temperatura e delle precipitazioni. Le scarse precipitazioni nevose invernali e l’elevata temperatura media estiva, registrate a partire dal 1860, avevano, infatti, determinato una forte riduzione delle masse dei ghiacciai esaminati.

Tale variazione climatica, avvenuta gradualmente e quasi impercettibilmente nel corso dei secoli, portò invece alcune importanti conseguenze ambientali e antropologiche, tra le quali il Monterin ci ricorda:

  • il limite superiore del bosco era, fino alla metà del XVI secolo, molto più elevato di quello che noi oggigiorno siamo abituati a vedere (questa tesi è confermata, ad esempio, dal ritrovamento, nei primi decenni del XX secolo, di un ceppo di pino cembro ancora ben radicato nei pascoli dell’alpeggio di Gabiet, a 2357 metri d’altitudine, così come un tronco di abete rosso dell’età di 270 anni rinvenuto dallo stesso Monterin all’interno del ghiacciaio di Verraz);
  • i ghiacciai e i nevai perenni erano molto meno estesi rispetto a quelli odierni e ciò facilitava il transito attraverso i passi alpini e, di conseguenza, gli scambi commerciali con i vicini paesi d’oltralpe (ad esempio il colle del Gran San Bernardo e del Théodule);
  • molti villaggi e casolari isolati siti ben oltre i 2000 metri di altitudine erano abitati tutto l’anno, fino a che le condizioni climatiche lo hanno permesso;
  • i cereali, soprattutto la segale, erano coltivati a quote impensabili oggigiorno, così come la vite ed altri alberi da frutta (resti di vitigni furono trovati a Saint-Valentin, quota 1300 metri, e a Curien, 1250 metri, sempre nel comune di Brusson; ora le viti più alte della Valle d’Ayas si trovano al suo imbocco nel comune di Challand-Saint-Victor, a circa 750 metri d’altitudine);
  • la rete dei canali di irrigazione nell’alta valle del Lys, anteriormente al XVI secolo, doveva essere assai più vasta di quella presente ai tempi di Monterin in relazione all’esistenza di un sistema irriguo poi scomparso poiché, a causa delle più copiose precipitazioni del periodo freddo-umido, sarebbe venuta meno l’esigenza di irrigare.

Ai fini della nostra ricerca sugli antichi canali irrigui in Valle d’Aosta, il trattato breve di Monterin è una miniera di informazioni. È grazie allo studioso, infatti, se possiamo ampliare le nostre conoscenze in merito al numero di canali irrigui, oggi scomparsi o abbandonati, nel comprensorio del comune di Gressoney-La-Trinité.

 

L’agricoltura e i rû secondo il pensiero di Emile Chanoux

Émile Chanoux, uno dei protagonisti della Resistenza in Valle d’Aosta ucciso dai nazifascisti nel 1944 a soli 38 anni, era conosciuto negli ambienti politici dell’epoca come teorico del federalismo europeo e fautore del cosiddetto particularisme valdôtain. Ci ha lasciato in eredità un considerevole numero di manoscritti e di articoli che sono stati raccolti e studiati dal Comité promoteur de la publication des écrits d’Émile Chanoux e pubblicati a cura dell’Institut historique de la Résistance en Vallée d’Aoste.

«Mère nourricière de l’humanité, l’agriculture est la base de la vie économique de notre peuple. Elle le sera aussi à l’avenir»: è con queste parole che egli inizia il saggio intitolato L’agriculture, interamente dedicato ad uno degli argomenti che, assieme al turismo e all’industria, maggiormente lo preoccupava. I temi che secondo il giovane Chanoux dovevano essere affrontati, per cercare delle possibili soluzioni ai problemi che affligevano l’agricoltura di quei tempi, erano i seguenti:

  • il potenziamento dell’intera rete irrigua, soprattutto nella fascia centrale della valle che, secondo l’autore, risulterebbe essere quella più vocata dal punto di vista agricolo;
  • la trasformazione delle colture viticole in altre più redditizie, come ad esempio la frutticoltura e la foraggicoltura necessaria per l’allevamento del bestiame;
  • una migliore organizzazione nel settore lattiero-caseario, considerato che l’allevamento delle bovine sarà destinato a diventare la prima occupazione agricola e che, di conseguenza, la fontina e il burro saranno i principali prodotti di questa attività;
  • la ricerca di una migliore strategia per la commercializzazione dei prodotti agricoli, affidando a cooperative e all’iniziativa di privati la ricerca di nuovi mercati e l’organizzazione delle vendite;
  • l’accorpamento e il riordino della piccola proprietà fondiaria, da sempre caratteristica dell’agricoltura montana, ma causa di costi di produzione non più sostenibili e di impossibilità di attuare con successo i miglioramenti fondiari;
  • infine, la valorizzazione dei boschi, i quali dovrebbero essere sfruttati in maniera razionale considerandoli delle vere e proprie colture agricole.

Come si ha modo di vedere, sono tutti temi di estrema attualità, anche se in taluni casi l’evoluzione degli aspetti socio-economici sono andati diversamente da come Chanoux ipotizzava. Ci soffermeremo in particolare sulla questione dell’irrigazione, nonostante tutti gli altri argomenti, compresi quelli di carattere politico ed economico, meriterebbero un’analisi più approfondita.

«La Vallée d’Aoste est fille de ses eaux». Questa frase scritta da Chanoux, quasi a voler introdurre il saggio dedicato all’agricoltura, considera l’irrigazione uno straordinario veicolo di evoluzione economica in tutti i tempi, soprattutto in una regione come la nostra dove, senza concimazioni e irrigazioni, il terreno non produrrebbe abbastanza per vivere.

Tuttavia questa affermazione, messa in relazione ad altri suoi pensieri, potrebbe svincolarsi dal mero significato agricolo per dare risalto ai nuovi assetti socio-economici che andavano delineandosi in quel tempo e che richiedevano una maggior quantità di energia a basso costo. Chanoux, infatti, era dell’avviso che mediante un intelligente sfruttamento idroelettrico delle acque e una partecipazione azionaria dei suoi abitanti, anche la popolazione contadina della Valle d’Aosta avrebbe potuto beneficiare direttamente dei profitti e risolvere i nascenti contrasti con i nuovi utilizzatori della risorsa idrica.

Chanoux, inoltre, lamentava che per circa duecento anni non si erano costruite nuove opere irrigue, ad eccezione del Ru de Saint-Pierre et Villeneuve. Eppure quella fascia di terreni situata all’aadret che va da Arvier fino ad Émarèse, la più vocata, secondo lui, all’agricoltura poteva essere oggetto di particolari attenzioni mediante il potenziamento della rete irrigua. Utilizzando, infatti, alcune tecniche moderne per l’impermeabilizzazione dei ru e costruendo gallerie e invasi artificiali, si sarebbe potuto effettuare una vera e propria politica dell’irrigazione.

Naturalmente – così Chanoux concludeva le proprie considerazioni sui ru con un riferimento ad aspetti meramente politici – era necessario rivedere tutta la legislazione in materia di concessioni di acque pubbliche, in modo tale che la nascente attività idroelettrica non precludesse la possibilità di costruire nuove opere irrigue a favore dell’agricoltura.