Tipologie costruttive dei canali storici

Artse Valsavarenche

Tipologie e tecniche di costruzione

Per un periodo di tempo lunghissimo, a partire dall’epoca della loro costruzione fin verso l’inizio del Novecento, i canali irrigui in Valle d’Aosta non furono oggetto di evidenti evoluzioni tecnologiche. Se escludiamo, infatti, il XX secolo che ha visto l’introduzione di nuovi materiali in agricoltura – dapprima canalette metalliche e tubazioni di ferro, poi di cemento e, più di recente, in materiale plastico – le tipologie costruttive tradizionalmente impiegate sono sempre state in funzione del territorio da attraversare e del grado di specializzazione della manodopera a disposizione.

Dal punto di vista tecnico un ru può essere semplicemente definito come un mezzo pratico – in sostanza, un manufatto – che consente la canalizzazione delle acque provenienti da torrenti e sorgenti, allo scopo di convogliarle nei comprensori coltivati. Pressoché immutate da secoli, le peculiarità costruttive per l’esecuzione di strutture facenti parte integrante o al servizio del canale si avvalevano di materiali naturali facilmente reperibili in loco: innanzitutto le pietre, poi il legno e, per i lavori più complessi ed importanti, anche la calce, che veniva preparata in forni appositamente costruiti nelle vicinanze dei muri da realizzare. Non era nemmeno così rara la movimentazione e l’utilizzo di terra e di altro materiale organico vegetale, allo scopo di rendere meno permeabile un alveo che doveva attraversare una pietraia o un terreno particolarmente impegnativo (oggigiorno le potremmo definire tecniche di ingegneria naturalistica).

Gli antichi sistemi irrigui erano in genere costituiti da un’opera di presa, da un canale adduttore, il cui percorso si sviluppava prevalentemente in quota, infine, da un numero variabile di canali secondari di derivazione e di scarico che avevano come scopo principale quello di consentire l’adduzione capillare dell’acqua nei comprensori coltivati e di smaltire le eventuali eccedenze idriche. Inoltre, i ru avevano la prerogativa di essere muniti, di solito lungo la totalità del loro tracciato, di un sentiero d’ispezione, utilizzato non solo dal guardiano del canale ma anche dagli utenti irrigui. Nelle forme più evolute possiamo trovare sul loro tracciato anche dei manufatti di pregevole fattura, come degli archi e dei ponti canali in muratura di pietra, i quali consentivano il trasporto dell’acqua in zone inaccessibili o da un versante all’altro dei valloni.

Con l’aiuto della terminologia in patois franco-provenzale parlato localmente, descriveremo nei paragrafi che seguono i principali elementi costruttivi comuni a tutti i canali irrigui in alveo naturale o, per meglio dire, semi naturale, dal momento che sono il prodotto dell’abilità e dell’ingegno umano. Altri componenti saranno ugualmente menzionati nonostante risultino essere caratteristiche riscontrabili in brevi tratti di canali esistenti oppure si possano verificare molto raramente.

 

L’opera di presa e l’incile del canale irriguo

Le opere di presa costruite all’interno di torrenti e di impluvi naturali sfruttavano al massimo le caratteristiche orografiche degli alvei e, per questa ragione, erano di modesta entità. Potevano essere fisse o mobili e consistevano principalmente nella costruzione di una scogliera in massi alla rinfusa oppure di un piccolo sbarramento in legname, in modo da determinare l’innalzamento del pelo libero dell’acqua e deviarne la quantità voluta verso l’incile del canale irriguo.

Queste barriere dovevano essere periodicamente ripristinate in occasione di improvvisi e rovinosi aumenti delle portate nei corsi d’acqua oppure di altri eventi calamitosi.

A causa della loro relativa semplicità, le opere di presa finivano con il convogliare notevoli quantità di ghiaia e limo all’interno della sede del canale, soprattutto in occasione di repentini aumenti delle portate nel torrente. Era molto difficile con i mezzi a disposizione controllare efficacemente la quantità d’acqua immessa durante le piene.

 

Il canale principale di adduzione

L’alveo del canale adduttore, ricavato scavando una trincea oppure un solco direttamente nel terreno o, in alcuni casi, nella roccia, era contraddistinto da una sezione irregolare, da una forte scabrezza delle pareti e del fondo ed era, inoltre, caratterizzato da un percorso sinuoso oppure tortuoso poiché si doveva adattare alla morfologia del territorio attraversato. La maggioranza dei canali irrigui, infatti, era mantenuta in quota per mezzo di pendenze minime, con una duplice finalità: il comprensorio da irrigare doveva risultare il più vasto possibile e la velocità dell’acqua all’interno dell’alveo del canale doveva essere mantenuta bassa affinché l’erosione delle sue pareti fosse stata contenuta al massimo.

La larghezza dell’alveo, variabile in relazione alla portata idraulica, era compresa tra un minimo di qualche decina di centimetri ad un massimo di due metri, mentre la sua altezza utile, variabile in base alla pendenza del manufatto, misurava da un minimo di 30-40 ad un massimo di circa 100-120 centimetri nelle parti di canale più pianeggianti. Altezze maggiori si potevano riscontrare solamente in quei tratti, di pendenza pressoché nulla, nei quali il materiale sabbio-limoso depositatosi nella sede del ru veniva continuamente accumulato sulla sponda di valle durante le corvées annuali.Molti sono i termini con i quali si può indicare un canale irriguo artificiale, alcuni dei quali li abbiamo già incontrati verso l’inizio della trattazione:

  • biallière, resin, ri, rif, riu, ru, rui, ruy, rivel, ry, che possiamo trovare nei vocabolari di francese antico, talvolta anche nei nostri documenti storici;
  • , ru métral, ruisseau, ruisseau bordonnal, ruisseau herbal, ruysseau, ruz, contenuti negli atti ufficiali del Duché d’Aoste;
  • riva, roggia, rousa, rouse, e la sua variante ortografica roucza, termini utilizzati soprattutto nella bassa valle.

 

Canali secondari di derivazione e i bornë

I numerosi canali di derivazione costituivano il sistema primario di ripartizione e di distribuzione delle acque all’interno del comprensorio agricolo situato a valle del canale principale. Essi erano normalmente alimentati da una frazione dell’intera portata d’acqua convogliata dal canale adduttore, più raramente da una piscina irrigua, secondo le égances stabilite dai regolamenti consortili.

Le derivazioni irrigue che dipartivano dal canale principale ricavato seguendo le curve di livello, erano costruite per lo più lungo la linea di massima pendenza del terreno ed avevano il compito di addurre la quantità d’acqua necessaria ai singoli comizi irrigui del comprensorio. Qui, un nuovo e complesso reticolo di canali d’irrigazione, via via sempre più piccoli, permetteva di suddividere ulteriormente le portate tra i vari proprietari aventi diritto, sintomo, questo, di un’orografia accidentata del comprensorio e di un’eccessiva parcellizzazione fondiaria del territorio coltivato.

Quando, invece, il canale principale seguiva la linea di massima pendenza del terreno, le brantse che si alimentavano da questo, gioco forza seguivano le curve di livello, assumendo le caratteristiche tipiche di un ru avente anche il sentiero di ispezione.

Ai canali di derivazione veniva generalmente applicata la stessa tecnologia costruttiva di quelli adduttori ma, in particolari situazioni morfologiche del territorio attraversato, le brantse potevano essere provviste – soprattutto se queste costituivano il confine con appezzamenti coltivati – di un fondo in pietrame a secco disposto di coltello e di murature laterali di contenimento, affinché l’azione erosiva dell’acqua fosse stata ridotta al minimo. In taluni casi il loro tracciato coincideva con quello degli scarichi.

Il termine brantse è forse quello maggiormente conosciuto per indicare questi piccoli canali irrigui, che tuttavia svolgono anche loro un’importante funzione, ma, secondo le zone, vengono utilizzati comunemente le parole, conneuil, conçu, contsì, dousson, resin, riane, riva, rivetta, e rivon.

Il sistema di canali secondari all’interno del comprensorio, intensificandosi, permetteva all’acqua di raggiungere tutti gli appezzamenti da irrigare; infatti, i ruscelli tracciati a monte delle particelle coltivate consentivano l’irrigazione per scorrimento superficiale delle colture prative, mentre i rigagnoli convogliavano l’acqua in piccoli lembi di terreno, di pendenza diversa rispetto all’intero appezzamento, destinati altrimenti a rimanere asciutti. Questi sono i loro nomi in franco-provenzale: ceréde, chou de l’éve, gaillotse, rigola, rivon, tsenalèi, tseveillon, tseveude.

 

Le sponde di contenimento del rû e il suo sentiero pedonale

Il terreno spondale di valle era inizialmente costituito dal solo materiale proveniente dallo scavo per la realizzazione della trincea, destinata poi a diventare un alveo artificiale. In alcuni casi, quando il prodotto estratto era scarso oppure non presentava caratteristiche sufficienti di impermeabilità, questo doveva essere integrato da una determinata quantità di terreno sciolto proveniente dai dintorni.

La sponda di valle, o argine, del canale era periodicamente rafforzata dal materiale limo-sabbioso trasportato dal flusso dell’acqua, poiché in occasione delle corvées, veniva levato dall’alveo e depositato sulla sponda di valle, mantenendo in questo modo in efficienza anche il sentiero necessario all’ispezione del canale.

Con il passare degli anni, questo materiale inerte andava a consolidare la sponda di valle, e la sua abbondanza, nei tratti maggiormente pianeggianti, determinava un progressivo allargamento delle dimensioni dell’argine e il suo innalzamento. In patois, l’argine di valle è semplicemente chiamato éponda.

 

Murature in pietrame e strutture ad arco

I canali che attraversavano terreni scoscesi, rocciosi oppure instabili, erano accomunati da alcuni elementi costruttivi, come ad esempio, il largo impiego di pietre per la realizzazione di murature di sostegno. Queste potevano essere a secco (in patois, meur a sèque, meur a përa sètse, meur de berrio, meur de përa) oppure legate con la calce o, in alcuni casi, con la terra argillosa.

Lungo il tracciato dei canali adduttori, di quelli secondari e degli scarichi si costruivano, ove necessario, una serie di murature in pietrame a secco allo scopo di sostenere il terreno situato a monte oppure di consolidare la scarpata di valle, dove era collocata la sponda naturale del manufatto.

In tutto il territorio valdostano era possibile procurarsi delle pietre naturali con buone caratteristiche di lavorabilità e di resistenza. Le murature da costruire potevano quindi raggiungere altezze e dimensioni ragguardevoli ed erano in funzione delle condizioni morfologiche dei pendii da attraversare.

 

Incorporate in alcuni imponenti muri di valle, le strutture ad arco (in franco-provenzale arc, arque), anch’esse in pietrame, erano generalmente costruite quando il canale doveva attraversare pareti rocciose strapiombanti, per evitare di eseguire dispendiosi scavi in roccia lungo tutta la lunghezza del muro di sostegno a valle, oppure quando l’importanza delle dimensioni dei muri avrebbe causato difficoltà di reperimento in loco del necessario pietrame.

Il ricorso a questi accorgimenti di tipo architettonico, peraltro di comprovata efficacia, consentiva, innanzitutto, di limitare ai soli appoggi gli scavi in roccia per le fondazioni e, in secondo luogo, di ridurre considerevolmente la quantità di pietre lavorate da trasportare nell’ambito del cantiere. Gli aspetti negativi di queste scelte strutturali erano rappresentati sia dal lavoro di preparazione delle centine in tavole di legno e dalla complessità nel collocarle in zone fortemente esposte, sia nel successivo maggiore onere di manutenzione dell’opera.

 

Paratoie di legno e altri sistemi di regolazione dell’acqua

La quantità d’acqua da immettere nei canali di derivazione o di scarico era regolata da paratoie poste lungo il percorso del ru. In franco-provenzale esse prendono il nome di dar, enclliousa, pourta, per quelle di grandi dimensioni, encllioujeui, enclliousaou, guetsé, gueutset, per le più piccole.

Anticamente realizzate in legno, le paratoie erano costituite da un semplice telaio lungo il quale potevano scorrere delle tavole opportunamente assemblate. Il suo elemento verticale disponeva di una serie di fori che servivano, una volta sollevata, a fissarla nella posizione voluta tramite un cavicchio (tseveille), al fine di consentire il passaggio della quantità d’acqua prevista dai regolamenti consortili.

 

Opere di carpenteria lignea a cassone

Queste strutture portanti in travi di larice (artse, mite, tserà, in patois franco-provenzale, échennée, nei documenti in francese antico parlato localmente) erano ancorate alla parete rocciosa oppure poggiavano su pilastri di muratura in pietrame. Erano costituite da un sovrastante tavolato di legno opportunamente disposto a guisa di canaletta atto, da una parte, a contenere l’acqua che occorreva convogliare verso valle, dall’altra, al passaggio del personale incaricato del controllo.

Costruite quando il tracciato del canale prevedeva il passaggio in zone particolarmente impervie e quando si doveva attraversare qualche vallone o depressione naturale del terreno, oggigiorno, di queste opere in carpenteria lignea, rimangono solamente alcuni reperti su tratti di canale comprensibilmente abbandonati, sia a causa dei notevoli costi e difficoltà di manutenzione, sia per la loro pericolosità in termini di sicurezza sui luoghi di lavoro. Frequentemente, a partire dal secondo dopoguerra, si è infatti preferito bypassare gli insidiosi e strapiombanti costoni rocciosi scavando gallerie ad altezza d’uomo, utilizzate per il passaggio sia dell’acqua che degli addetti alla sorveglianza.

Gli elementi lignei, indispensabili per sorreggere il carico delle sovrastanti canalizzazioni in tavole di legno, dell’acqua convogliata al loro interno, nonché il peso di coloro che si occupavano delle manutenzioni, erano chiamati in patois franco-provenzale menton, tra, tro, tsevron de brenva poiché le essenze resinose erano frequentemente utilizzate per la loro resistenza.

Le travi di legno, della lunghezza di circa un metro, un metro e mezzo, erano di solito inserite orizzontalmente in apposite cavità scavate nella roccia e talvolta erano anche puntellate da altri elementi obliqui opportunamente incastrati tra loro.

 

Ponte canale ad arco

I ponti canale ad arco, al pari di altri ponti viari medievali, hanno sempre destato ammirazione, sia per l’arditezza delle opere, sia per la loro pregevolezza architettonica. Attualmente, in tutta la egione, se ne possono contare solamente tre di grandi dimensioni.

Per superare ostacoli naturali era necessario edificare delle strutture portanti ad arco in pietrame e malta di calce, sopra o all’interno delle quali trovava sede l’alveo del canale irriguo. Le dimensioni delle strutture per condurre l’acqua da un versante all’altro di un vallone o di una forra, apparivano alquanto variabili e, naturalmente, erano in funzione della larghezza dell’ostacolo. Abbiamo tuttavia potuto notare che i punti dove venivano fondati i piedritti erano sempre scelti molto accuratamente, non solo per far sì che il manufatto fosse saldamente ancorato al terreno o alla roccia sottostante, ma anche per limitare le dimensioni stesse dell’arcata.

 

Il Grand Arvou del ru Prévôt

Ci soffermeremo un po’ più a lungo sulla descrizione del ponte canale del Ru Prévôt, noto col nome di Grand Arvou, riportando ancora una volta la testimonianza del De Tillier:

«L’aqueduc sur le quel il passe [le ruisseau du Prevost] en dessus de Porossan n’est pas a la verité un ouvrage des Romains, mais il ne lasse pas que d’etre tres considerable tant par la solidité de sa fabrique, qui est sur pied et resiste a l’eau et a touttes les intemperies des saisons depuis plus de quattre siecles sans qu’il en perde aucune goutte et sans qu’il y paroisse aucune crevasse, que par son elevation et par la largeur du cintre qu’on luy à donné sur un profond vallon […] ».

Questo capolavoro di ingegneria idraulica, infatti, ha sempre suscitato un grande interesse anche dal punto di vista architettonico, essendo la costruzione più importante di tutta la Valle d’Aosta, edificata al fine di permettere il deflusso di acqua d’irrigazione attraverso un ostacolo naturale.

Questa struttura possiede, planimetricamente, una forma irregolare trapezoidale senza base maggiore, conferitagli dalla necessità di mantenere costante la pendenza dell’alveo e di limitare nel contempo l’ampiezza dell’arcata, utilizzando, come superfici di appoggio, due punti di versanti rocciosi tra loro sufficientemente vicini.

Costruito in pietrame e malta di calce, un tempo interamente intonacato, oltre ad apparire senza dubbio massiccio proprio a causa della sua particolare forma, il ponte canale ricorda l’aspetto di un edificio ed è dotato addirittura di un tetto in lose ad una falda, già oggetto di ristrutturazione nell’Ottocento. La decisione di salvaguardare, mediante una semplice copertura, le murature dall’azione diretta delle piogge preservandole dal gelo invernale si è rivelata lungimirante ai fini della sua perfetta conservazione attraverso i secoli. Solamente una parte dell’intonaco delle facciate rivolte verso valle, infatti, risulta distaccato.

La presenza di una serie di finestrelle e di bifore permette l’entrata della luce per l’ispezione interna, che è possibile soltanto quando l’acqua non vi passa dentro, non disponendo la struttura di un passaggio pedonale asciutto lungo l’intero suo sviluppo. La larghezza interna per il deflusso dell’acqua, in qualche tratto, è di appena 57-62 centimetri, tuttavia la sua notevole altezza consente di transitare in piedi. Inoltre, il passaggio d’ispezione è agevolato dal fatto che all’altezza delle ginocchia una risega presente su gran parte dello sviluppo del cunicolo porta la larghezza interna ad effettivi 80-82 centimetri. La presenza nelle zone a contatto con l’acqua di un intonaco molto fine e lisciato, probabilmente rifatto in occasione di qualche manutenzione nel lontano passato, assicura la completa impermeabilità, tanto che all’esterno, nei periodi di utilizzo del condotto, non s’intravvede la benché minima infiltrazione di umidità.

Forniremo alcune misurazioni indicative per renderci meglio conto dell’imponenza della struttura studiata: ampiezza o luce dell’arco, m 13,60 circa; altezza massima della struttura misurata dal tetto alla fondazione del piedritto in destra orografica, m 19,50 circa; altezza della muratura misurata dal tetto all’intradosso dell’arcata, m 10,50 circa; sviluppo interno del condotto, m 68,50; spessore medio delle murature all’altezza delle aperture, da cm 50 a 55.

Sulla facciata esterna, sotto l’intonaco parzialmente scrostato, possiamo intravedere una doppia arcata sovrapposta di pietre sistemate di coltello, come se gli antichi costruttori avessero voluto conferire una maggiore solidità strutturale ripartendo meglio i pesi sui roccioni sottostanti. Così come, sul lato orientale troviamo un contrafforte a forma cilindrica che emerge dalla muratura nel punto in cui essa, cambiando direzione, di dirige parallelamente al torrente: a prima vista sembrerebbe una torre di un castello, ma la sua funzione, essenzialmente statica, può essere comprovata da una breve ispezione interna. Si tratta, infatti, del punto più stretto del passaggio.

Nonostante l’aspetto imponente e originale della struttura, dobbiamo tuttavia notare l’assenza di conci in pietra di una certa rilevanza, segno questo che la struttura è stata realizzata utilizzando del pietrame comune, non particolarmente lavorato, al pari degli altri fabbricati rurali siti nella zona.